Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Rifiuti separati male e metalli nel macchinario Così è scoppiato l’incendio»
Fiamme a Ecoricicli, il pm: già fatte tre segnalazioni
VENEZIA Una cosa è certa, secondo il pm Andrea Petroni e il suo consulente Francesco Pilo, che guida la sezione investigativa dei Vigili del fuoco di Venezia: in quel capannone di Ecoricicli la gestione dei rifiuti ingombranti non era corretta. In primis perché non c’era un certificato di prevenzione incendi, dopo il parere ottenuto solo in fase progettuale, quando la verifica viene fatta esclusivamente sui documenti, senza sopralluogo; e anche in quel caso era stata richiesta sulla base di presupposti scorretti. «Il capannone avrebbe dovuto essere adibito solo a stoccaggio e vagliatura dei rifiuti ingombranti, invece c’era un trituratore su ruote, il cui utilizzo comporta dei rischi in più», ha spiegato ieri in aula Pilo, che ha indagato sull’incendio del 7 giugno 2017, che rase al suolo il manufatto della società di Veritas a Fusina. Per quel rogo sono a processo, accusati di incendio colposo, l’ad Vittorio Salva
● Il 7 giugno 2017, a Fusina, è andato a fuoco un capannone di rifiuti ingombranti di Ecoricicli, società del gruppo Veritas
● La procura di Venezia ha portato a processo tre manager, tra cui l’ad Vittorio Salvagno, con l’accusa di incendio colposo
gno, il direttore operativo dell’impianto Alessio Bonetto e il responsabile del servizio di protezione e prevenzione Roberto Ardemagni.
Secondo l’accusa, le fiamme sarebbero nate proprio dal trituratore, a causa di altre carenze organizzative. «I rifiuti venivano separati a mano da 2 o 3 operai, perché un macchinario ad hoc, che avrebbe svolto molto meglio quell’operazione, era rotto da tempo - ha aggiunto il vigile del fuoco - Nelle istruzioni del trituratore era segnalato il divieto di inserire materiale metallico, ma tra la consegna del novembre 2016 e l’incendio erano già state fatte al responsabile della sicurezza tre segnalazioni per un principio di innesco». In un’occasione nel macchinario era finita una lampada al neon, in altri due dei razzi di segnalazione. E in caso di rogo non c’era un sistema automatico, ma dovevano intervenire gli operai con impianti manuali o estintori. Secondo la procura anche quella volta le fiamme erano nate dal trituratore e non c’era stato nulla da fare: in pochi minuti erano divampate in tutto il capannone, con una colonna di fumo alta centinaia di metri: i pompieri le avevano spente solo a tarda sera.
Tesi negata dalla difesa, con l’avvocato Domenico Giuri . «Non ci sono elementi oggettivi che dimostrino questa tesi», ha spiegato il legale, che nella prossima udienza del 14 gennaio porterà un suo consulente. Pilo ha ammesso che sul macchinario non c’erano segni di bruciature. «Noi la riteniamo l’ipotesi più probabile, se non ci sono segni è perché il trituratore girava veloce e il materiale infiammabile è caduto sul cumulo sottostante», ha detto il tecnico. La difesa ha anche provato a chiedere se siano state trovate tracce di acceleranti e se fossero emerse colorazioni diverse nel fumo, quasi a sostenere l’ipotesi dolosa. Un altro argomento di discussione sarà quello delle autorizzazioni, visto che i vigili del fuoco avevano partecipato a una conferenza di servizi presso la Città metropolitana, ma che si era occupata dell’aspetto ambientale, non degli incendi.
In apertura il pm aveva prodotto la sanzione amministrativa pagata da Ecoricicli legata al fatto che nel capannone c’erano più rifiuti di quelli autorizzati.