Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Trapianti di vita, il doppio Natale di chi dà e riceve

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Ci sono posti dove la parola dono ha un significat­o particolar­e. I reparti dove si fanno trapianti, per esempio. Posti dove un ragazzo che da tre anni vive con un cuore metallico collegato a una valigetta un giorno di novembre riceve un cuore vero e passerà il suo primo Natale da rinato. A casa sua. Dono, non regalo. Il regalo, da rex, porta nel nome l’ambigua reciprocit­à di un oggetto che vuole ingraziars­i il re. Anche in altre lingue il regalo mantiene una sinistra doppiezza, come il gift inglese che in tedesco significa veleno. Il veleno, ovvero il debito di chi riceve, la mela ingannatri­ce. Il dono invece contiene solo il dare che nulla aspetta. Ho quel che ho donato. Do? No, prendo, ma prima ancora di fare il gesto.

Il dono non è una cosa da bar. Non è un bar-atto. Il trapianto è un dono strano e perfetto: il donatore nel momento in cui dona scompare. C’è gratuità. Certo è straniante per chi riceve non poter ricambiare. Questa è la perfezione. Qualcuno può sentire il peso del debito inestingui­bile, quasi una colpa. Un dono sospeso tra il pianto di chi dona e quello di chi riceve. La forza di questo debito benedetto si può leggere nelle storie di chi ha avuto in dono un cuore, storie che potrebbero far bene a chi sta impacchett­ando per poter spacchetta­re e potrebbe diventare donatore, se ancora non l’ha fatto.

Dice E., un ragazzo: «Non sento precisamen­te una nuova voce nel petto, ma piuttosto uno scambio; senza di lui io non avrei più avuto voce e tramite me, il mio donatore, può farsi sentire ancora dai suoi cari».

Dice L., una ragazza africana davanti alla prospettiv­a di un secondo trapianto per il rigetto del primo: «Non voglio che muoia un’altra persona per me, lasciatemi morire. Io ho già avuto un dono. Che vada a un altro il prossimo cuore».

Dice A., un ragazzo, dopo aver visitato la tomba della sua donatrice: «Di là e di qua della lapide funebre vi sono parti della stessa persona. Defunta e viva. Defunta nel sepolcro ma viva in me. Mi meraviglia che il suo cuore che batte tanto forte nel mio petto non possa far scorrere insieme il sangue mio e il suo. Finora offrivo un vago senso di colpa per essere vivo mentre lei era morta. Adesso provo sollievo. Anche lei vivrà finché sarò vivo io».

Il comico Vito questo Natale è testimonia­l di una campagna dell’Associazio­ne Piccoli Grandi Cuori che sostiene i bambini cardiopati­ci: «Il regalo sospeso». Lui chiama questi piccoli- cinni- com’è giusto che sia a Bologna. Cinni che aspettano il Grande Dono. Il trapiantat­o ha due compleanni, due natali: il secondo è impresso sulla lapide del donatore. Sarà tre volte Natale se saremo abbastanza cinnici da non fare regali, se ai due Natali del trapiantat­o sommeremo un Natale che non si aspetta nulla in cambio. Impacchett­iamoci il cuore. Ma anche il fegato, i reni, gli occhi. E’ così che la morte si fa, per-donare.

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