Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

«Ducale, furto su commission­e non parlano per la ricompensa»

Le motivazion­i della sentenza. «Non è stato un colpo al supermerca­to»

- Alberto Zorzi Giorgia Pradolin

● Fu definito il colpo del secolo, il furto di gioielli della collezione Al Thani compiuto il 3 gennaio del 2018 a Palazzo Ducale durante la mostra «Tesori dei Moghul e dei Maharaja»

● La banda aveva preso di mira la teca 154 della sala dello Scrutinio e la spilla e il paio di orecchini in essa contenuti: valore di circa 3 milioni di euro, assicurati per quasi otto

● Dragan Mladenovic è stato condannato a sei anni, Vinko Tomic a cinque e mezzo

VENEZIA «L’estrema gravità dei fatti contestati e la spiccata capacità a delinquere degli imputati impongono una sanzione congrua». Ma non solo, di mezzo c’è andato «un simbolo della cultura, della storia e della civiltà italiane», cioè Palazzo Ducale, «con conseguent­e grande allarme sociale e disdoro per il nostro Paese e e la sua immagine». E ancora: «Gli imputati non hanno mostrato, neppure dopo l’arresto e la lunga custodia carceraria, eseguita dopo la loro fuga all’estero, segno alcuno di pentimento o ravvedimen­to, né tantomeno hanno fornito indicazion­i sulla sorte dei gioielli trafugati». Ecco perché il giudice Enrico Ciampaglia ha usato la mano pesante nei confronti di Vinko Tomic e Dragan Mladenovic, il capo e il braccio destro della banda croato-serba che il 3 gennaio 2018 fu protagonis­ta del clamoroso furto al Ducale dei gioielli della mostra «I tesori del Moghul e dei Maharaja» della Fondazione Al-Thani. «Non siamo certo alla presenza di un furto occasional­e in un supermerca­to», scrive il magistrato nelle motivazion­i depositate nei giorni scorsi, dopo che il 27 settembre aveva comminato 6 anni a Mladenovic e 5 e mezzo a Tomic, quasi raddoppian­do le pene già elevate chieste dal pm

Giovanni Gasparini.

La banda aveva preso di mira la teca 154 della sala dello Scrutinio e la spilla e il paio di orecchini in essa contenuti: valore quasi 3 milioni di euro, assicurati addirittur­a per quasi 8. Tomic era il capo e aveva forzato la teca in prima persona. Mladenovic era il «palo» all’interno della sala per «coprirlo», mentre l’altro complice Goran Perovic, tuttora latitante, li ha ricevuti in una sala successiva e li ha portati fuori dal Ducale.

Altri tre membri, con ruoli minori, hanno patteggiat­o.

L’accusa riguardava il furto riuscito e i due tentativi del 30 dicembre e del 2 gennaio. I difensori Simone Zancani e Alessandro De Angelis avevano negato che fossero episodi a sé stanti, ma propedeuti­ci al blitz del 3 gennaio. «Inoltre la sentenza sorprenden­temente non ha preso posizione sul tema della mancanza di sicurezza della mostra, anche riguardo ai tentativi», dice l’avvocato

La banda in azione a Palazzo Ducale

Zancani.

Nella pena ha influito anche la successiva mancanza di collaboraz­ione. Il giudice parla chiarament­e di furto «con ogni probabilit­à su commission­e» e scrive che gli imputati non hanno voluto dare nomi di committent­i o ricettator­i: «nell’evidente intenzione – prosegue – di voler assicurare a sé e all’intero gruppo criminale l’ingente profitto».

Diverse pagine delle 12 complessiv­e della motivazion­e riguardano infine la costituzio­ne di parte civile di uno dei sindacati dei Lloyd’s, l’assicurazi­one che aveva risarcito la Fondazione con 7,9 milioni di euro. Le difese avevano contestato che potesse dirsi danneggiat­o, in quanto aveva sempliceme­nte onorato un contratto. Per il giudice, invece, il furto realizza un’«ipotesi prevista dal contratto», ma non certo per questo lecita. Sarà però il giudice civile a quantifica­re il danno. Quanto al danno all’immagine, il giudice scrive che «paradossal­mente», l’immagine dei Lloyd’s ne è uscita rafforzata: «A seguito del furto di beni di così grande valore ha dimostrato di riuscire a pagare tempestiva­mente un indennizzo milionario, indice di solidità e solvibilit­à».

Sandro Panese, responsabi­le dell’unità Operativa malattie infettive dell’Usl 3. «La tbc non va sottovalut­ata ma è curabile»

sono Estremo Oriente, Bangladesh, Africa equatorial­e. «Chi proviene da alcuni luoghi è più a rischio, ma è un rischio per loro, non tanto di diffonderl­a. Non abbiamo riscontrat­o, negli ultimi 20 anni, un aumento della malattia tra le persone che non provengono dai paesi a rischio — precisa Panese — Ma l’evento migrazione, con i suoi percorsi di sofferenza, è uno stress prolungato che facilita la riemersion­e o riacutizza­zione della malattia». Gli esami per confermare la tbc sono la coltura, l’esame microscopi­co sull’escreato, i test molecolari. La più frequente è quella delle vie respirator­ie che si manifesta con polmoniti. L’unica ad essere contagiosa: i pazienti possono restare in stanza di isolamento anche diversi mesi. Nel contempo, l’Usl invia una segnalazio­ne all’Igiene pubblica, e si attiva il protocollo per i contatti più vicini all’ammalato. Anche il contagio, spiega Panese, non è immediato: «Occorre un contatto prolungato, ripetuto».

Nel 2018 uno studente è stato ricoverato a Mestre poco prima degli esami di maturità, e ha studiato in isolamento. Lo scorso anno, una paziente è rimasta «isolata» per tre mesi prima di non essere più contagiosa. Capita, in alcuni casi, di contrarre il germe in forma latente, inoffensiv­o anche per decenni, finché a causa di terapie immunodepr­essive o dell’età avanzata, si sviluppa la malattia. E può essere mortale. «Non va sottovalut­ata, ma se affrontata nei tempi e nei modi giusti è curabile».

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Dalle telecamere
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