Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
L’addio a Marchesin lo «Schiavo di Hitler»
«Un altro pezzo di memoria che, gradualmente, se ne va per sempre». Così Marco Borghi, direttore dell’Istituto veneziano per la storia della Resistenza, ricorda Gino Marchesin. Superstite dell’eccidio di Corfù nel 1943 e poi internato nel lager di Belgrado, Gino è scomparso il 18 gennaio a 96 anni senza aver mai smesso di raccontare le atrocità subite in tempo di guerra. «Andava nelle scuole a raccontare la sua storia ai ragazzi, ha sempre visto nella memoria uno strumento didattico – racconta Borghi – Era uno degli ultimi, forse addirittura l’ultimo, superstite vivente di quell’eccidio». Nato nel 1923 a La Salute di San Stino di Livenza, stesso luogo dove è morto, era un giovanissimo meccanico, quando venne arruolato il 3 gennaio 1943. È dopo l’8 settembre di quell’anno che partecipa alla resistenza dell’esercito italiano contro i nazisti a Corfù e dove viene catturato: portato in Grecia, è costretto a marciare tra le montagne dell’Epiro e per gli stenti viene portato in un ospedale da campo a Florina. Ma la situazione peggiora quando, caricato su un carro bestiame, viene deportato al lager di Belgrado dove è costretto al duro lavoro coatto in città e nel porto, in condizioni disumane. Spostandosi al seguito dell’esercito nel 1944 tra la Croazia e la Stiria, è nel 1945 con l’avanzare dell’Armata Rossa che i tedeschi lo lasciano libero e Gino, a piedi e con mezzi di fortuna, riesce a tornare a casa. Le sue memorie sono vive e sono raccolte nel libro «Io, schiavo di Hitler. L’odissea di un giovane militare da Corfù al lager di Belgrado». (c. ga.)