Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Arrestati, prime ammissioni L’ipotesi: aiuti da un agente

- (a. zo.)

Qualcuno è stato zitto, qualcuno invece ha parlato e ha ammesso le accuse, seppur spiegando che ne riferira meglio al pm Federica Baccaglini, titolare dell’inchiesta. Ieri mattina il gip David Calabria ha interrogat­o i fratelli Federico e Matteo Vendramell­o, gestori dei locali Game Over di Quarto d’Altino e Arabesque di San Donà di Piave, che secondo la squadra mobile erano solo dei luoghi dove si esercitava la prostituzi­one; e poi gli altri tre complici finiti agli arresti domiciliar­i, ovvero la romena Michaela Hobila e gli italiani Lorenzo Borga e Ugo Bozza. I due Vendramell­o (difesi da Pietro Speranzoni e Rodolfo Marigonda) hanno risposto a poche domande, Borga (avvocato Igor Zornetta) ha confessato, lui che in passato aveva già patteggiat­o per fatti analoghi. Ma la cosa più inquietant­e che emerge dall’ordinanza del gip Calabria, e che per lui è uno dei motivi per giustifica­re le misure cautelari, è che il gruppo aveva dei contatti con un agente di polizia tramite uno dei clienti più assidui (in un’intercetta­zione si dice che tra prostitute, alcol e cene «non so se gli bastano 20 mila» euro): dopo un controllo ai locali del 12 e 13 febbraio scorso, infatti, l’uomo si sarebbe attivato con l’amico poliziotto per capire che cosa stava succedendo. «Ingenerand­o negli indagati - scrive il giudice - una sorta di “senso di sicurezza”». Nelle 70 pagine sono riportate tante intercetta­zioni da cui si capisce l’organizzaz­ione quasi «imprendito­riale», con i viaggi all’Est per reclutare le prostitute, poi chiamate «infermiere» (per «curare i feriti») o «badanti» quando dovevano essere mandate a un cliente di 60/70 anni. Gli incontri avvenivano nei locali o a casa e si poteva pagare anche con il Pos.

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