Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Mafia, scontro tra difesa e pm «Accanimento giudiziario»
Clan di Eraclea, i legali: accanimento giudiziario. «Bocciato» il magistrato padovano
VENEZIA Sono due delle posizioni più delicate e complesse nel grande «calderone» del maxi-processo ai clan casalese accusato di aver spadroneggiato a Eraclea per quasi vent’anni sotto la guida del presunto boss Luciano Donadio. Per il bancario Denis Poles, infatti, perfino la Cassazione aveva messo in dubbio il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, tanto che poi il tribunale del riesame a fine agosto l’aveva scarcerato dopo sei mesi; per l’avvocato Annamaria Marin, la contestazione è quella di favoreggiamento con l’aggravante mafiosa, perché da legale di Donadio gli avrebbe rivelato informazioni riservate, ma già il gip Marta Paccagnella un anno fa aveva respinto la richiesta della procura di sospenderla dalla professione. Non per niente i pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini hanno lavorato molto nei mesi scorsi per trovare altri elementi contro di loro, ma ieri – nel corso dell’udienza preliminare – i difensori sono andati all’attacco, accusandoli di «accanimento ingiustificato».
L’avvocato Tommaso Bortoluzzi, difensore di Marin, ha contestato ai pm di aver violato un paio di norme: la prima è quella che impone di inviare l’avviso di garanzia via raccomandata, qualora non ci siano perquisizioni o sequestri, mentre a casa del legale si sono presentati gli agenti alle sette di mattina di quell’ormai famoso blitz del 19 febbraio 2019; la seconda è che nel capo d’imputazione sono indicati anche episodi prescritti, per i quali avrebbero dovuto chiedere l’archiviazione. Il pm Terzo ha replicato dicendo che si trattava di una questione di trasparenza e che la consegna a mano era legata al fatto che Marin non venisse nominata da Donadio prima di sapere di essere indagata. L’avvocato Antonio Forza, per Poles, ha invece illustrate che dalle indagini difensive è emerso che, da un report della Banca d’Italia, la filiale del Monte dei Paschi da lui guidata non avrebbe finanziato nessuna della trentina di società della «galassia Donadio»; mentre dall’analisi dei due cellulari del suo cliente si è scoperto che il numero di telefono del boss era inserito tra quelli «bloccati». Tra i vari difensori ha parlato anche l’avvocato Daniele Grasso, che difende l’ex sindaco Graziano Teso, accusato di essere stato il primo ad aprire le «porte» di Eraclea al clan Donadio: Teso ha chiesto di essere processato con il rito abbreviato, per poter chiudere velocemente il processo.
Ma propri sugli abbreviati si è aperto il caos, perché – ad oggi – manca il giudice. Il gup Andrea Battistuzzi ha l’urgenza di concludere i rinvii a giudizio entro il 18 febbraio (se tutto va bene dovrebbe finire il 6), in modo che non scadano le misure. Per questo il processo verrà sdoppiato, ma tutti i suoi colleghi dell’ufficio Gip veneziano sono incompatibili, perché hanno firmato atti delle indagini. Il presidente del tribunale lagunare Salvatore Laganà aveva aperto un interpello in tutta la regione, raccogliendo la disponibilità del gip padovano Elena Lazzarini, ma il consiglio giudiziario – una sorta di «mini-Csm» locale – ha bocciato l’ipotesi, affermando che prima andava perseguita una soluzione interna a Venezia, anche perché si tratta di reati di mafia e dunque di competenza distrettuale. Ora ci sarà un nuovo interpello tutto veneziano, ma i tempi stringono e gli imputati non sanno ancora da chi saranno giudicati. Impossibile pensare che il processo non parta – anch’esso dev’essere incardinato entro il 18 – ma di certo è una «grana» che non serviva. E comunque non c’è la fila tra i magistrati veneziani.