Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Cattolica: «C’è giusta causa Nessuna intesa con Minali»
Lettera ai legali dell’ex manager. In ballo un contenzioso da quasi 4 milioni
VERONA Cattolica invoca la giusta causa. E comunica all’ex amministratore delegato Alberto Minali di non aver alcuna proposta di transazione per il ritiro delle deleghe decisa dal cda lo scorso 31 ottobre. La lettera dello Studio Pessi di Roma, i legali che per conto della società assicurativa veneta stanno seguendo questo fronte del caso Minali, è giunta agli avvocati dell’ex guida operativa della coop l’altra sera. La lettera, nella sostanza, comunicherebbe come allo stato attuale non ci siano proposte economiche da sottoporre per chiudere la partita della defenestrazione di tre mesi fa.
Un indicatore, il documento, della linea che la società intende seguire per regolare i rapporti in sospeso, dopo il consiglio di amministrazione di martedì, che ha affrontato la questione, pur senza arrivare, da quel che si può ricostruire, all’assunzione di una delibera finale, comunicando invece a Consob l’orientamento che si sta tenendo. Il tutto al termine di una discussione sul da farsi che sarebbe andata avanti per un paio d’ore, partendo da un parere legale elaborato dall’avvocato Mario Cera, che riconosce come nella procedura usata con Minali possa essere invocata la giusta causa, per la rottura del rapporto di fiducia.
La questione è di non poco conto. In ballo ci sono le somme che Cattolica potrebbe dover versare a Minali (che sarebbe uscito dalla riunione del consiglio al momento della discussione) per l’interruzione senza giusta causa del rapporto di lavoro con due anni e mezzo di anticipo. Secondo gli accordi intercorsi nel rinnovo dell’incarico di consigliere delegato fino alla primavera 2022,chiusi lo scorso anno, in caso di stop anticipato senza giusta causa per il ritiro delle deleghe al manager dev’essere corrisposto l’emolumento fino a fine mandato; che tra parte fissa e variabile corrispondeva a circa 1,6 milioni di euro l’anno. Da moltiplicare quindi per due volte e mezzo: quasi 4 milioni di euro.
Somma che rischia di diventare la richiesta di una causa legale, a questo punto più che probabile se la linea della coop fosse confermata, che il manager potrebbe intentare alla società. Affiancandola ad una richiesta di danni, anche d’immagine, per una cacciata che Minali ha dichiarato come ingiusta fin da subito.
Le opzioni sarebbero di fatto due. O aprire un contenzioso, impugnando davanti al Tribunale civile di Verona la delibera del 31 ottobre di revoca delle deleghe, o attendere eventuali provvedimenti di Ivass e Consob a seguito dell’ispezione in corso, per chiedere i danni e quanto dovuto.
L’apertura di un contenzioso appare più che probabile, anche solo sulla base di quanto già espresso da Minali, che dopo il ritiro delle deleghe era rimasto in consiglio, dove per altro sembra intenzionato a rimanere. Come si ricorderà, la linea già espressa dopo la cacciata, anche nelle audizioni in Ivass e Consob, è che non ci sono fatti in grado di reggere la tesi della rottura di fiducia, visto che le scelte rilevanti, dal piano industriale per altro poi confermato, alla partnership con Banco Bpm erano state prese all’unanimità.
In più, secondo il manager, contrariamente a quanto detto dalla società, era stato lui stesso a proporre al cda di non andare avanti sulla gara per la bancassurance di Ubi, che avrebbe richiesto un sostanzioso aumento di capitale da rendere appetibile con la trasformazione in spa. E già aveva fatto capire, Minali, che lo stesso comunicato che annunciava il ritiro delle deleghe faceva riferimento a «divergenze di visione», ma non ad una rottura della fiducia o a una giusta causa, ricercata semmai a posteriori con il lancio di una serie di audit senza esito. Così, mentre il conto alla rovescia per l’assemblea straordinaria sui cambiamenti statutari del 7 marzo è iniziato, lo scontro in Cattolica rischia ora di subire un’ulteriore escalation.