Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
L’EUROPA E IL TEMA DEL NORD
Elena Donazzan, assessore al Lavoro della Regione Veneto, ne fa (giustamente) un motivo di orgoglio: «Abbiamo utilizzato l’82% dei finanziamenti Fse, Fondo sociale europeo, per il periodo 2014-2020. Solo l’Emilia Romagna può vantare risultati migliori per quanto riguarda velocità dei bandi, capacità di sfruttamento delle risorse e raggiungimento dei target comunitari». Non sono bruscolini. Si tratta di 764 milioni programmati, di cui 716 stanziati e 631 impiegati. Finora hanno coinvolto 238 mila cittadini, che hanno utilizzato questi soldi per riqualificarsi e ricollocarsi sul mercato del lavoro. Forse la narrazione di un’Europa matrigna, unicamente votata a prendere, andrebbe rivista. Il Veneto che vuole tornare a correre ha molto da guadagnare dalle strategie di Bruxelles e i dati sciorinati da Donazzan lo confermano. Senza contare che nei prossimi anni si aprirà la grande sfida del Green Deal: mille miliardi di investimenti per la trasformazione dell’industria in chiave di sostenibilità. Un treno che il Nordest non può lasciarsi scappare.
Il punto, però, è un altro. Il grado di utilizzazione dei fondi europei ripropone la questione del divario fra Nord e Sud del Paese. Secondo il Sole 24 Ore, censendo i Programmi operativi regionali (Por) e nazionali (Pon), coperti dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) e dal Fondo sociale europeo (Fse), salta fuori un tesoretto di 38 miliardi da spendere entro il 2023.
Nella
classifica dei ritardi e dell’incapacità di progettazione, purtroppo, spiccano le regioni centro-meridionali. Non basta. Sempre in questi giorni, i comuni veneti sono stati protagonisti di un’aspra battaglia contro i tagli alle amministrazioni virtuose, cioè con i conti in regola: una misura che rischiava di tagliare la penisola in due e che in regione avrebbe penalizzato 418 comuni su 563. Ancora: la Cgia di Mestre ha appena pubblicato l’ennesimo studio sui costi di tasse (troppe) e burocrazia (inefficiente): 138,3 miliardi che gravano sul sistema imprenditoriale, 13 dei quali sulle aziende venete.
Insomma, la distanza fra regioni del Nord e del Sud, nell’efficienza della pubblica amministrazione, nella qualità dei servizi, nella spinta alla competizione globale, continua ad allargarsi. E la «Questione settentrionale» non andrebbe rimossa (o negata), ma affrontata prima che sia troppo tardi. Massimo Cacciari l’ha detto chiaro e forte a Giuseppe Conte (e a Nicola Zingaretti): nessun governo può durare molto se non va incontro (o addirittura va contro) l’intero Nord. L’autonomia differenziata non è la panacea di tutti i mali, ma deve essere messa ai primi posti nell’agenda politica. Nessuna secessione dei ricchi. L’obiettivo non può che essere opposto: ricomporre una frattura economica e sociale ormai insostenibile. Chissà che il dem Francesco Boccia, ministro per gli Affari regionali, non si spinga là dove il leghista Matteo Salvini non ha saputo (o voluto) andare.