Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Le imprese: fabbriche chiuse, bloccate le merci
«Per tamponare abbiamo scorte fino ad aprile ma se il blocco in Cina continua oltre il 17-20 di febbraio, il problema c’è». Lorenzo Lorenzi, della Lorenzi Srl di Vigonza, ultima propaggine del distretto della calzatura in Riviera del Brenta, dal Far East attende nuove materie prime per le microfibre destinate proprio al calzaturiero. L’emergenza legata al Coronavirus in Cina non coinvolge solo chi ha uno stabilimento laggiù ma anche chi da lì attende container carichi di materie prime.
Il sostanziale stallo che imbriglia anche i trasporti è uno degli effetti collaterali potenzialmente più letali (per l’economia) del virus. Callisto Fedon osserva con attenzione l’evolversi della situazione dal Bellunese. Il settore dell’occhialeria è uno dei tre, insieme a macchinari per le industrie e concia, più colpiti dalla pandemia che chiude i confini e blocca le rotte aeree frenando l’import- export. La Fedon Group di Pieve d’Alpago confeziona astucci per occhiali, nel 2019 ha festeggiato 100 anni di attività e in Cina c’è da decenni. Con uno stabilimento che dà lavoro a un migliaio di dipendenti e un fatturato vicino ai 70 milioni di euro. «Di notizie ne abbiamo poche anche noi – spiega Fedon – oltre a sapere che è stato prorogato fino al 10 febbraio il periodo di chiusura delle attività dopo il capodanno cinese. La dimensione di ciò che sta accadendo
"La produzione potrebbe riprendere tra il 17 e il 20 febbraio, se lo stop si protrae diventa un problema
non è chiara a nessuno. Cosa vuole… la Cina è fatta anche così, tutto dipende dalle decisioni del governo». Fedon ha tre siti produttivi: Italia, Romania e Cina, a Shenzhen. «Siamo lontani da Wuhan ma cambia poco – spiega Fedon -. Al momento è tutto chiuso».
Il fattore cruciale, per il business, è il tempo. « Noi a Shanghai abbiamo una filiale commerciale – racconta Andrea Riello – con un solo italiano che ha deciso di fermarsi. Certo, la richiesta è di restare chiusi fino al 9 febbraio ma il problema esiste già. Qui abbiamo un Paese che sostanzialmente si è fermato. Tutte quelle che erano le attività di incontro, business e visite sono rinviate a data da destinarsi. Noi abbiamo avuto la fortuna di chiudere alcuni contratti poco prima di Natale con tempi di consegna entro l’anno quindi per ora nessun problema ma dipende da quanto durerà. Abbiamo vissuto un periodo simile con la Sars… Le faccio un altro esempio, la nostra presenza alla fiera di Shanghai ad aprile non è scontata se rimangono limitati gli spostamenti».
Fra i settori economici, il più colpito è quello dei macchinari industriali che pesa oltre 500 milioni l’anno di export dal Veneto. La Maschio Gaspardo di Campodarsego, nel Padovano, produce macchine agricole e conta stabilimenti in mezzo mondo: «La situazione del nostro stabilimento a Qingdao, nella provincia di Shandong, è sotto controllo e non ci sono stati casi di infezione nella zona. La produzione era stata interrotta per il Capodanno cinese che ha portato il nostro personale alla progressiva uscita dal paese. Speriamo che questo accorgimento contribuisca a contenere la diffusione del virus, nel frattempo riusciamo a rispondere alle richieste di mercato con il magazzino». Una settimana, quindi, non peserebbe tanto da mettere in difficoltà la produzione e il soddisfacimento degli ordini. Resta il grande punto di domanda su quanto l’emergenza sanitaria, sovrastimata dicono in molti a microfoni spenti, durerà. «Si presume che la produzione possa riprendere, magari scaglionata da area ad area, intorno al 17-20 febbraio. – ribadisce Lorenzi – Se si protraesse oltre per noi sarebbe un problema. E i fornitori di Shanghai da cui attendiamo le materie prime hanno molti dipendenti residenti a Wuhan tornati a casa naturalmente
per il Capodanno cinese e ora bloccati lì». Un effetto a catena che tiene gli imprenditori veneti con il fiato sospeso: «Dal punto di vista del materiale noi non compriamo tantissimo in Cina – spiega Nicola Saccarola, direttore Operations della Cib Unigas di Campodarsego che in Cina ha una filiale commerciale - ma dal punto di vista commerciale stiamo cercando di capire come si evolverà. Se il tutto non si risolve entro un mese la situazione diventerà critica. Per noi il mercato cinese, in crescita, vale dal 25 al 30%. Ma è un mercato importante per tutti». E fra i giganti alle prese con l’emergenza Coronavirus c’è anche Sàfilo per cui lo stop agli impianti di Shouzou, in cui si realizzano molti dei componenti destinati alle fabbriche italiane, per ora non comporta rallentamenti operativi. Da Padova si fa sapere che i magazzini sono sufficientemente riforniti. A patto lo stop non si protragga.