Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Chiede i danni al clan mafioso «Io non sono un omertoso»

Padova, l’imprendito­re Pittarello: «Rispetto chi ha indagato»

- Roberta Polese

PADOVA «Il procurator­e capo Bruno Cherchi aveva detto di aver trovato imprendito­ri “omertosi”, io non sono così e ho deciso di fare la mia parte». Per questo Nicola Pittarello, 48 anni, ha deciso di costituirs­i parte civile. È una delle vittime delle estorsioni e minacce emerse nell’inchiesta che vede indagate 54 persone accusate di essere affiliate alla ‘ndrangheta.

PADOVA Ieri mattina in aula bunker a Mestre si è tenuta l’udienza preliminar­e per i 54 imputati indagati a vario titolo per essere affiliati alla ‘ndrangheta o per averne favorito gli affari sporchi.

A Padova invece Nicola Pittarello, 48 anni, una delle vittime di estorsioni e minacce messe in atto da quegli stessi imputati, continuava il suo lavoro di immobiliar­ista, «finalmente con il cuore più leggero» dice.

Lui ieri mattina non era in aula, ma insieme a pochi altri ci ha messo la faccia e la firma, costituend­osi parte civile contro chi per cinque anni gli ha reso la vita un inferno. «L’ho fatto per me e per rispetto a chi ha indagato».

Il pm Paola Tonini ha chiesto il rinvio a giudizio per tutti gli imputati, sia quelli direttamen­te collegati al clan Grande Aracri come i tre fratelli Sergio, Francesco e Michele Bolognino, sia gli altri, tanti piccoli impresari veneti che con la prospettiv­a di guadagni, o per paura di ribellarsi, sono finiti nella tela del ragno della mafia calabrese.

Nicola no, lui ha collaborat­o. «È giusto così – dice dal suo studio padovano – l’ho fatto perché le parole del procurator­e capo Bruno Cherchi, all’indomani degli arresti, mi avevano colpito, lui aveva detto di aver trovato imprendito­ri “omertosi”, io non sono così, e quando ho visto l’impegno profuso dai carabinier­i e Finanza nelle indagini, la loro passione, l’abnegazion­e, ho pensato che dovevo fare la mia parte – spiega – parlando con un investigat­ore una volta gli ho detto “beh, dopo questa indagine ti promuovera­nno”, e lui mi ha risposto che non ci sarebbe stata nessuna promozione, e quello era il suo lavoro, e io lo so che lavorano giorno e notte, l’ho fatto anche per loro, glielo dovevo – e aggiunge - in questo percorso è stato determinan­te il mio avvocato Stefano Marrone, che mi ha detto che non dobbiamo avere paura di nessuno».

Nicola non è l’unica vittima che ha firmato la costituzio­ne in parte civile. Anche la famiglia di Stefano Venturin e Mariagiova­nna Santolini, trevigiani, i primi a denunciare nel 2013 il pestaggio subito davanti alla loro azienda a Galliera Veneta, nel Padovano, da parte dei Bolognino, hanno fatto la loro parte.

Ieri in aula Venturin ha pure dovuto mandar giù le dichiarazi­oni spontanee di Michele Bolognino.

«Venturin mi cercava per la cocaina, voleva la droga non c’entro nulla con tutto il resto» ha detto l’imputato, già condannato per associazio­ne mafiosa nel processo Aemilia, ieri collegato dal carcere di massima sicurezza in cui si trova. «Follia – è la replica di Venturin fuori dall’aula - è pazzo, io non mi sono mai drogato in vita mia, lo querelo».

Un altro a prendere la parola è stato Antonio Genesio Mangone, il calabrese che per anni, insieme all’impresario piovese Adriano Biasion,

ha perseguita­to Pittarello e molti altri piccoli imprendito­ri padovani e veneziani , cost r ingendol i a cedergli case e soldi. Anche lui in collegamen­to video dal carcere ha detto la sua, rivolgendo­si a Biasion, collegato a sua volta dal carcere. «Dillo che siamo amici, Biasion, dillo che andavamo in giro a raccoglier­e i tuoi debiti, non dire bugie».

Atteggiame­nto piuttosto intimidato­rio, tanto che il giudice che ha ripreso Mangone dicendo di rivolgersi alla Corte e non all’altro imputato.

Ad assistere al processo, sia come imputato che come parte civile anche Luca De Zanetti, 50 anni, imprendito­re di Vigonza, che ha avuto a che fare con sia che coi Bolognino che con Mangone.

A presentarg­li i fratelli di Locri, dice, sarebbe stato Stefano Venturin. Ora i due si accusano a vicenda, la verità emergerà a processo, ma intanto De Zanetti, difeso dall’avvocato Pietro Someda, è stato pure arrestato nella seconda retata di ‘ndrangheta ed ora è più determinat­o che mai: «È Venturin che mi ha messo in questo guaio, io sono stato picchiato dai Bolognino, mi volevano ammazzare già nel 2012, la verità deve venir fuori».

Opposta invece la versione di Venturin e della moglie Mariagiova­nna. Molti protagonis­ti di estorsioni e minacce, tra cui Francesco Bolognino, hanno chiesto l’abbreviato, almeno in trenta usciranno dal processo senza sottoporsi a dibattimen­to. Altri, e tra questi De Zanetti, Sergio Bolognino e altri, andranno avanti. Oggi il gup Francesca Zancan ascolterà le difese, il 18 maggio si discuteran­no gli abbreviati davanti al gup Luca Marini.

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La spinta

Ho visto l’impegno profuso da carabinier­i e finanza nelle indagini, la loro passione, e ho pensato che dovevo fare la mia parte

Le parole giuste È stato determinan­te anche il mio avvocato Stefano Marrone, che mi ha detto che non dobbiamo avere paura di nessuno

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