Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Chiede i danni al clan mafioso «Io non sono un omertoso»
Padova, l’imprenditore Pittarello: «Rispetto chi ha indagato»
PADOVA «Il procuratore capo Bruno Cherchi aveva detto di aver trovato imprenditori “omertosi”, io non sono così e ho deciso di fare la mia parte». Per questo Nicola Pittarello, 48 anni, ha deciso di costituirsi parte civile. È una delle vittime delle estorsioni e minacce emerse nell’inchiesta che vede indagate 54 persone accusate di essere affiliate alla ‘ndrangheta.
PADOVA Ieri mattina in aula bunker a Mestre si è tenuta l’udienza preliminare per i 54 imputati indagati a vario titolo per essere affiliati alla ‘ndrangheta o per averne favorito gli affari sporchi.
A Padova invece Nicola Pittarello, 48 anni, una delle vittime di estorsioni e minacce messe in atto da quegli stessi imputati, continuava il suo lavoro di immobiliarista, «finalmente con il cuore più leggero» dice.
Lui ieri mattina non era in aula, ma insieme a pochi altri ci ha messo la faccia e la firma, costituendosi parte civile contro chi per cinque anni gli ha reso la vita un inferno. «L’ho fatto per me e per rispetto a chi ha indagato».
Il pm Paola Tonini ha chiesto il rinvio a giudizio per tutti gli imputati, sia quelli direttamente collegati al clan Grande Aracri come i tre fratelli Sergio, Francesco e Michele Bolognino, sia gli altri, tanti piccoli impresari veneti che con la prospettiva di guadagni, o per paura di ribellarsi, sono finiti nella tela del ragno della mafia calabrese.
Nicola no, lui ha collaborato. «È giusto così – dice dal suo studio padovano – l’ho fatto perché le parole del procuratore capo Bruno Cherchi, all’indomani degli arresti, mi avevano colpito, lui aveva detto di aver trovato imprenditori “omertosi”, io non sono così, e quando ho visto l’impegno profuso dai carabinieri e Finanza nelle indagini, la loro passione, l’abnegazione, ho pensato che dovevo fare la mia parte – spiega – parlando con un investigatore una volta gli ho detto “beh, dopo questa indagine ti promuoveranno”, e lui mi ha risposto che non ci sarebbe stata nessuna promozione, e quello era il suo lavoro, e io lo so che lavorano giorno e notte, l’ho fatto anche per loro, glielo dovevo – e aggiunge - in questo percorso è stato determinante il mio avvocato Stefano Marrone, che mi ha detto che non dobbiamo avere paura di nessuno».
Nicola non è l’unica vittima che ha firmato la costituzione in parte civile. Anche la famiglia di Stefano Venturin e Mariagiovanna Santolini, trevigiani, i primi a denunciare nel 2013 il pestaggio subito davanti alla loro azienda a Galliera Veneta, nel Padovano, da parte dei Bolognino, hanno fatto la loro parte.
Ieri in aula Venturin ha pure dovuto mandar giù le dichiarazioni spontanee di Michele Bolognino.
«Venturin mi cercava per la cocaina, voleva la droga non c’entro nulla con tutto il resto» ha detto l’imputato, già condannato per associazione mafiosa nel processo Aemilia, ieri collegato dal carcere di massima sicurezza in cui si trova. «Follia – è la replica di Venturin fuori dall’aula - è pazzo, io non mi sono mai drogato in vita mia, lo querelo».
Un altro a prendere la parola è stato Antonio Genesio Mangone, il calabrese che per anni, insieme all’impresario piovese Adriano Biasion,
ha perseguitato Pittarello e molti altri piccoli imprenditori padovani e veneziani , cost r ingendol i a cedergli case e soldi. Anche lui in collegamento video dal carcere ha detto la sua, rivolgendosi a Biasion, collegato a sua volta dal carcere. «Dillo che siamo amici, Biasion, dillo che andavamo in giro a raccogliere i tuoi debiti, non dire bugie».
Atteggiamento piuttosto intimidatorio, tanto che il giudice che ha ripreso Mangone dicendo di rivolgersi alla Corte e non all’altro imputato.
Ad assistere al processo, sia come imputato che come parte civile anche Luca De Zanetti, 50 anni, imprenditore di Vigonza, che ha avuto a che fare con sia che coi Bolognino che con Mangone.
A presentargli i fratelli di Locri, dice, sarebbe stato Stefano Venturin. Ora i due si accusano a vicenda, la verità emergerà a processo, ma intanto De Zanetti, difeso dall’avvocato Pietro Someda, è stato pure arrestato nella seconda retata di ‘ndrangheta ed ora è più determinato che mai: «È Venturin che mi ha messo in questo guaio, io sono stato picchiato dai Bolognino, mi volevano ammazzare già nel 2012, la verità deve venir fuori».
Opposta invece la versione di Venturin e della moglie Mariagiovanna. Molti protagonisti di estorsioni e minacce, tra cui Francesco Bolognino, hanno chiesto l’abbreviato, almeno in trenta usciranno dal processo senza sottoporsi a dibattimento. Altri, e tra questi De Zanetti, Sergio Bolognino e altri, andranno avanti. Oggi il gup Francesca Zancan ascolterà le difese, il 18 maggio si discuteranno gli abbreviati davanti al gup Luca Marini.
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La spinta
Ho visto l’impegno profuso da carabinieri e finanza nelle indagini, la loro passione, e ho pensato che dovevo fare la mia parte
Le parole giuste È stato determinante anche il mio avvocato Stefano Marrone, che mi ha detto che non dobbiamo avere paura di nessuno