Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Mose, guerra politica sui commissari del Cvn E le imprese: illegittimi
Pd e Lega all’attacco, ma M5s li difende: presidio di legalità
VENEZIA Nel Pd c’è chi, come Pier Paolo Baretta, lo dice da tempi non sospetti. «Conviene accelerare la conclusione del commissariamento e pensare a gestione e manutenzione», affermava a fine 2017 da sottosegretario all’Economia del governo Gentiloni e lo ribadisce oggi. Ed è l’idea più volte espressa anche dal deputato dem Nicola Pellicani, che ha anche interrogato il governo sul punto. Ma si dice che pure il ministro delle Infrastrutture Paola De Micheli, se potesse, avrebbe già mandato via Giuseppe Fiengo e Francesco Ossola dalla plancia di comando del Consorzio Venezia Nuova, per riunire tutti i poteri sotto il nuovo commissario «sblocca cantieri» Elisabetta Spitz: se non fosse che i due – a cui si è aggiunto di recente Vincenzo Nunziata – sono stati nominati dalla Prefettura di Roma (e quindi dal ministero dell’Interno) su indicazione dell’Anac e una loro revoca aprirebbe un probabile contenzioso dagli esiti incerti.
Il Pd, ma non solo. Perché a fare la «guerra politica» ai commissari era stato anche il deputato bellunese di Fratelli d’Italia Luca De Carlo, che già lo scorso luglio aveva chiesto di sostituirli, mentre lunedì scorso è entrata a piedi uniti anche la Lega, con un’interrogazione firmata dal deputato trevigiano Dimitri Coin con altri dieci colleghi, tra cui la veneziana Ketty Fogliani. Nel testo, in cui si fanno le pulci anche sui compensi, si chiede a De Michieli e alla collega Luciana Lamorgese (Interno), «quali iniziative urgenti intendano assumere per una eventuale sostituzione dei due commissari, appurando nel contempo le ragioni dell’evidente rallentamento di ogni attività sotto la loro pregressa e diretta gestione». A difenderli pare rimasto solo il M5s, dunque. «Forse all’inizio ci doveva essere una migliore definizione sulle competenze, ma il presidio di legalità serve ancora - dice la deputata pentastellata Arianna Spessotto - Inoltre interrompere ora il loro mandato significa ricominciare tutto da capo e perdere altri anni».
In questa battaglia sotterranea ma nemmeno troppo, si è
I test
Uno dei test più recenti del Mose. Ora saranno sempre più frequenti per chiudere tutte le dighe a partire da giugno inserita anche la mossa di Mantovani (tramite il consorzio Covela di cui fa parte), che nei giorni scorsi ha scritto a tutti i membri del vecchio comitato direttivo pre-commissariamento del Cvn, guidato da Mauro Fabris, per chiedere che sia convocato per approvare il bilancio 2019 e valutare alcune questioni legali aperte. La tesi è che i commissari si siano «allargati»: avrebbero dovuto occuparsi solo del «contratto-concessione» sul Mose e invece hanno illegittimamente preso in mano la governance completa del Cvn, con «discutibili scelte tecniche e organizzative». L’obiettivo di Mantovani è soprattutto quello di sistemare il passato, visto che la società è ora in crisi. «Ma se siamo andati in concordato è colpa proprio del Consorzio che non ci ha pagato 45 milioni di lavori certificati - tuona il patron Romeo Chiarotto - per dare i soldi alla Banca europea degli investimenti e ad altre imprese. Hanno fatto una cosa contro lo statuto e ne risponderanno». Tanto che lo stesso Covela ha fatto una causa da quasi duecento milioni contro Fiengo e Ossola. Questi ultimi sentono l’«accerchiamento», ma restano convinti di essere nel giusto, tanto che già la Prefettura di Roma nel 2015 rigettò una richiesta analoga: ora vige un comitato consultivo, rimasto composto dalla Pmi dopo la «fuga» delle grandi imprese, da Mantovani a Fincosit e Condotte. Ma è evidente che tra queste burrasche – compresa proprio la protesta delle Pmi che lamentano di non essere pagate – chiudere il Mose non è facile. (a. zo.)