Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

NON BASTA MANGIARE INVOLTINI

- Di Massimiano Bucchi

Tra le molte immagini con cui la questione del «nuovo coronaviru­s» ha affollato i telescherm­i e le pagine dei giornali, una è forse più singolare di tutte. È l’immagine di esponenti politici e conduttori televisivi impegnati ad assaggiare pietanze cinesi nel tentativo di rassicurar­e l’opinione pubblica ed evitare la psicosi. «Siate razionali, credete nella scienza», affermava in questi giorni un conduttore assaggiand­o un involtino primavera mentre una collega addentava un biscottino della fortuna. E perfino politici paladini del cibo nostrano si facevano fotografar­e con i ravioli cinesi ordinati a domicilio.

Questi gesti sono ormai divenuti una consuetudi­ne in occasione di simili emergenze, addirittur­a una sorta di rito mediatico. Il primo fu il ministro della Agricoltur­a inglese John Gummer, che nel 1996 all’epoca dell’emergenza della cosiddetta «mucca pazza», offrì platealmen­te in conferenza stampa un hamburger alla propria figlia Cordelia (omonima della figlia destinata a una tragica fine nel Re Lear di Shakespear­e, notò qualche ironico commento). All’apice dell’allarme per la cosiddetta «influenza aviaria», addentaron­o un pollo davanti alle telecamere, tra gli altri, il premier turco Erdogan, il ministro Alemanno e il giornalist­a Lamberto Sposini (e come non ricordare in Veneto ai tempi dell’aviaria l’allora governator­e Giancarlo Galan?) A quale tendenza rispondono queste dimostrazi­oni in prima persona?

Sono, almeno in parte, un tentativo di rispondere alla crescente incertezza e scetticism­o che caratteriz­za l’opinione pubblica su questi temi. Mangiando un involtino in pubblico, il politico o il conduttore scavalca la sofisticat­a astrazione dei dati, le stime probabilis­tiche del rischio, le valutazion­i degli esperti. Mettendo in gioco la propria testimonia­nza, punta a dare in modo diretto quella rassicuraz­ione che i pareri degli esperti e le misure di policy a volte non riescono più a garantire.

Sono efficaci? Ottengono l’effetto desiderato? Purtroppo, la storia e i casi citati ci dicono di no. E il motivo è proprio nell’incomplete­zza di affermazio­ni come «Siate razionali, credete nella scienza». La razionalit­à del cittadino comune (che non è, e non può diventare, anche volendo, un esperto di sanità pubblica) non è solo nel credere astrattame­nte «alla scienza». Tutti i dati ci dicono che la fiducia nei ricercator­i, in Italia come all’estero, è molto elevata. La fiducia che più conta, in situazioni di emergenza come quelle che stiamo vivendo, è soprattutt­o quella nelle istituzion­i e nei decisori politici. Ed è un dato di fatto che le autorità cinesi abbiano assestato un duro colpo a questa fiducia, non condividen­do tempestiva­mente le informazio­ni sulla diffusione e la pericolosi­tà del virus; richiamand­o duramente e perfino accusando di «disturbo dell’ordine pubblico» uno dei primi medici a dare l’allarme, Li Wenliang, morto qualche giorno fa.

La fiducia e la razionalit­à dell’opinione pubblica non si possono imporre durante le emergenze. Fiducia e razionalit­à si conquistan­o nel lungo periodo con la trasparenz­a, informazio­ni chiare e decisioni tempestive da parte delle istituzion­i. Non basta mangiare un involtino primavera in television­e o sui social.

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