Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Perché ho detto che non era rigore»
Quello che è successo domenica, a Chioggia, è quello che credo ogni giocatore farebbe in una situazione simile...
Non ho niente da insegnare a nessuno: ho fatto solo quello che mi sembrava giusto. Quando l’arbitro ha fischiato eravamo in molti in area degli avversari, ho immaginato che ci fosse stato un episodio del quale non mi ero accorto. Poi ho sentito che il direttore di gara ci aveva assegnato un rigore, ho visto la concitazione dei giocatori dell’Union Clodiense che assicuravano di non aver fatto il fallo di mano, mi indicavano. Allora ho parlato con l’arbitro: «Se ha fischiato per quello, sono stato io». Era evidente che il fallo non c’era, l’avevo toccata io. Mi ha dato la mano e il gioco è ripreso. Non penso di aver fatto qualcosa di eccezionale e non credo di essere l’unico a voler evitare che venga commesso un errore, anche se in buona fede.
È lo spirito di chiunque creda nella correttezza e nell’onestà, sul campo e fuori, nella convinzione che il calcio sia un gioco meraviglioso, di passione e divertimento, uno sforzo collettivo in cui ognuno lavora per sé e per i compagni per raggiungere l’obiettivo che è sempre la vittoria. Ma sempre nel rispetto delle regole e dell’avversario.
Io volevo vincere la partita, è stato l’unico pensiero che ho avuto per tutta la durata della gara ed è lo stesso spirito che mi spinge sempre a scendere in campo con la maglia della mia squadra. Mi alleno per vincere, per essere più forti dell’avversario, è la mentalità a fare la differenza. Dopo l’episodio in area infatti ho pensato: «Ora vinciamo», ero carico. Sia io che i miei compagni del Belluno abbiamo dato tutto, la sconfitta brucia e mi dispiace perché tre punti sarebbero stati fondamentali. Quello che è certo e che prometto alla squadra è che darò il massimo. Siamo un gruppo forte e unito, ho imparato molto da questa vicenda e sono pronto a tornare in campo e vincere. Forza Belluno.