Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

IL PUNTO DI CADUTA

- Di Alessandro Baschieri

Il coronaviru­s causa un’influenza che nel 15 per cento dei casi porta a difficoltà respirator­ie e nell’1-3 per cento dei casi anche al decesso (fonte: Organizzaz­ione Mondiale della Sanità). Il virus può colpire chiunque, senza distinzion­i di sesso, nazionalit­à, censo o aspetto fisico. La scienza non è democratic­a, il coronaviru­s decisament­e sì anche se la reazione del contagiato non è sempre la stessa (fonte: e chi se non Roberto Burioni, scienziato).

La casistica veneta ci dice che i contagiati finiti in rianimazio­ne sono per lo più anziani (Fonte: Regione Veneto) e le complicazi­oni associate a patologie pregresse. In particolar­e le due vittime avevano una situazione sanitaria già compromess­a.

In linea generale si può dunque parlare di letalità molto bassa (fonte: Ilaria Capua, scienziata e virologa) che arriva a superare il dieci per cento negli ultra ottantenni e scende fino allo zero virgola negli adolescent­i e nei bambini (Fonte: Oms). Senza contare che i contagiati italiani - e qui non c’è fonte scientific­a ma esperienzi­ale - sembrano assumerla in forma meno aggressiva rispetto ai paria cinesi. A dirla tutta l’influenza normale - epoca pre coronaviru­s - ha fatto l’anno scorso 198 morti in Italia 21 dei quali in Veneto (fonte: Influnet, la rete di controllo dell’Istituto superiore di sanità) mentre al 26 febbraio di quest’anno il coronaviru­s è fermo rispettiva­mente a 12 e 2. Ma allora non stiamo esagerando? Perché stiamo chiudendo a chiave il mondo? Perché la diffusione del contagio è esponenzia­le, il coronaviru­s cammina più velocement­e di una normale influenza. Anzi, corre. E in pura linea teorica, superata una determinat­a curva statistica, potrebbe sfuggire al controllo.

Se contagiass­e dieci milioni di italiani farebbe centomila morti e ne porterebbe il triplo in rianimazio­ne. Questo scenario, anche ridotto di dieci scale di grandezza, distrugger­ebbe il nostro sistema sanitario che dispone di qualche migliaio di posti di rianimazio­ne in tutto.

La cronaca non è ancora apocalitti­ca e nessuno ha voglia neanche di immaginarl­a una situazione così. Di qui le misure draconiane per il contenimen­to del virus che tuttavia hanno un costo economico e sociale elevatissi­mo. Ovvero possono provocare altrettant­i problemi qualora venissero reiterate nel tempo (fonte: le categorie economiche). Tradotto: deprimere e mandare sul lastrico centinaia di migliaia di famiglie potrebbe disgregare il tessuto sociale almeno quanto l’epidemia. Ergo bisognerà trovare un punto di caduta, prima o poi bisognerà trovare il coraggio di girare la chiave e riaprire il mondo. Ce ne vuole molto di più a prendere una decisione come questa che a isolare tutti. Il problema è quando. Perché una scelta anticipata ci porterebbe agli scenari di cui sopra. Fermo restando che la necessità della quarantena dei contagiati mette d’accordo tutti (Fonte Giorgio Palù, virologo), sulle altre misure anche i virologi hanno visioni discordant­i.

Restano un paio di cose da dire. La prima: il tema del paziente zero è superato e la caccia agli untori inutile. I focolai non sono tra loro collegati o comunque non si trovano i ponti. Probabilme­nte il virus camminava silente già da un mese nei nostri territori (fonte: la microbiolo­ga Rita Gismondo) e il numero di contagiati era già molto alto prima di trovare il primo caso. La seconda: questa non è la peste del terzo millennio e probabilme­nte il numero più elevato di casi in Italia è dovuto al fatto che facciamo molti più test che nel resto d’Europa (Fonte: Oms). Pertanto, al netto del rispetto delle curve statistich­e, il coronaviru­s è destinato a perdere virulenza e forza col passare dei mesi se non addirittur­a a generare gli anticorpi nell’uomo che prima o poi considerer­anno lo sgradito ospite come un semplice raffreddor­e (Fonte: sempre il virologo Palù). Insomma, pima o poi sparirà così com’è venuto. Beh, almeno lo speriamo (fonte: chi scrive)

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