Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
IL PUNTO DI CADUTA
Il coronavirus causa un’influenza che nel 15 per cento dei casi porta a difficoltà respiratorie e nell’1-3 per cento dei casi anche al decesso (fonte: Organizzazione Mondiale della Sanità). Il virus può colpire chiunque, senza distinzioni di sesso, nazionalità, censo o aspetto fisico. La scienza non è democratica, il coronavirus decisamente sì anche se la reazione del contagiato non è sempre la stessa (fonte: e chi se non Roberto Burioni, scienziato).
La casistica veneta ci dice che i contagiati finiti in rianimazione sono per lo più anziani (Fonte: Regione Veneto) e le complicazioni associate a patologie pregresse. In particolare le due vittime avevano una situazione sanitaria già compromessa.
In linea generale si può dunque parlare di letalità molto bassa (fonte: Ilaria Capua, scienziata e virologa) che arriva a superare il dieci per cento negli ultra ottantenni e scende fino allo zero virgola negli adolescenti e nei bambini (Fonte: Oms). Senza contare che i contagiati italiani - e qui non c’è fonte scientifica ma esperienziale - sembrano assumerla in forma meno aggressiva rispetto ai paria cinesi. A dirla tutta l’influenza normale - epoca pre coronavirus - ha fatto l’anno scorso 198 morti in Italia 21 dei quali in Veneto (fonte: Influnet, la rete di controllo dell’Istituto superiore di sanità) mentre al 26 febbraio di quest’anno il coronavirus è fermo rispettivamente a 12 e 2. Ma allora non stiamo esagerando? Perché stiamo chiudendo a chiave il mondo? Perché la diffusione del contagio è esponenziale, il coronavirus cammina più velocemente di una normale influenza. Anzi, corre. E in pura linea teorica, superata una determinata curva statistica, potrebbe sfuggire al controllo.
Se contagiasse dieci milioni di italiani farebbe centomila morti e ne porterebbe il triplo in rianimazione. Questo scenario, anche ridotto di dieci scale di grandezza, distruggerebbe il nostro sistema sanitario che dispone di qualche migliaio di posti di rianimazione in tutto.
La cronaca non è ancora apocalittica e nessuno ha voglia neanche di immaginarla una situazione così. Di qui le misure draconiane per il contenimento del virus che tuttavia hanno un costo economico e sociale elevatissimo. Ovvero possono provocare altrettanti problemi qualora venissero reiterate nel tempo (fonte: le categorie economiche). Tradotto: deprimere e mandare sul lastrico centinaia di migliaia di famiglie potrebbe disgregare il tessuto sociale almeno quanto l’epidemia. Ergo bisognerà trovare un punto di caduta, prima o poi bisognerà trovare il coraggio di girare la chiave e riaprire il mondo. Ce ne vuole molto di più a prendere una decisione come questa che a isolare tutti. Il problema è quando. Perché una scelta anticipata ci porterebbe agli scenari di cui sopra. Fermo restando che la necessità della quarantena dei contagiati mette d’accordo tutti (Fonte Giorgio Palù, virologo), sulle altre misure anche i virologi hanno visioni discordanti.
Restano un paio di cose da dire. La prima: il tema del paziente zero è superato e la caccia agli untori inutile. I focolai non sono tra loro collegati o comunque non si trovano i ponti. Probabilmente il virus camminava silente già da un mese nei nostri territori (fonte: la microbiologa Rita Gismondo) e il numero di contagiati era già molto alto prima di trovare il primo caso. La seconda: questa non è la peste del terzo millennio e probabilmente il numero più elevato di casi in Italia è dovuto al fatto che facciamo molti più test che nel resto d’Europa (Fonte: Oms). Pertanto, al netto del rispetto delle curve statistiche, il coronavirus è destinato a perdere virulenza e forza col passare dei mesi se non addirittura a generare gli anticorpi nell’uomo che prima o poi considereranno lo sgradito ospite come un semplice raffreddore (Fonte: sempre il virologo Palù). Insomma, pima o poi sparirà così com’è venuto. Beh, almeno lo speriamo (fonte: chi scrive)