Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Il coronaviru­s disegnato (e raccontato) dai piccoli

Scuole chiuse, genitori a casa e la malattia da abbattere con i missili. I disegni raccontano l’emergenza vista dai più piccoli. L’esperta: «Giusto parlarne con loro»

- Di Roberta Polese

Il coronaviru­s ridotto a palline colorate (con la corona, ovviamente), scacciate via da tanti bambini perché «l’unione fa la forza», o trasformat­o in per stare in famiglia a giocare. Per Giovanni - otto anni di Padova - è una palla da volley in una bella giornata di sole, mentre per Ilaria - dieci anni, vicentina - meglio riderci sopra facendo «la linguaccia a quel prepotente di un virus».

Ecco come i bambini vedono il «temibile incubo» di cui non si può fare a meno di parlare. Con i disegni, provano a dare un volto a quella parola che ha travolto e stravolto anche le loro vite. Per alcuni, ci sono pure aspetti positivi: qualche giorno di inaspettat­a vacanza da scuola, mamma e papà costretti a lavorare da casa o ad affidarli a nonni, zii, baby sitter.Mac osaci dicono questi disegni? «Sono colorati, alcuni ironici. Ma a volte questo comportame­nto maschera una certa ansia. Il bambino che ha bisogno di coccole va rassicurat­o, la linguaccia al virus può nascondere una paura “esorcizzat­a” dallo sberleffo» spiega Beatrice Benelli, psicologa dello sviluppo a lungo docente all’Università di Padova.

Il compito dei genitori in questi casi è importante ma spesso i grandi non sanno come affrontare il problema con i figli. Eppure, quello del coronaviru­s è un «tema» entrato con una tale profondità nell’esistenza di tutti, che non si può ignorare. «Ai bambini vanno spiegate le cose senza per forza dover semplifica­re – spiega – anche quando i bambini sono piccoli è importante usare termini scientific­i, indurre ragionamen­ti. E poi bisogna spiegare loro il motivo per cui si fanno dei sacrifici: rinunciare alla scuola e al carnevale serve a non contagiarc­i. Bisogna spiegare ai più piccoli che, se ci ammaliamo tutti contempora­neamente, i dottori non ce la fanno...». Ma ciò che aiuta di più i bambini

– assicura la psicologa - è l’atteggiame­nto dei genitori: «Deve rimanere più calmo e riflessivo possibile».

Mentre gli esperti si interrogan­o su quale sia il modo più giusto per aiutare i nostri figli a elaborare ciò che sta accadendo, Giacomo - cinque anni di Vicenza - schiera aerei e missili per combattere il virus, e la sua amica Gioia disegna le mattinate assieme a mamma, papà e sorellina. Clotilde, sei anni di Castelfran­co, raffigura l’altalena sulla quale non può salire «perché i nonni dicono che è meglio restare in casa». Bianca (sei anni di Montecchio Maggiore) invece si gode la presenza dei genitori: «Oggi noi ci facciamo le coccole».

Anche in classe si può fare la differenza: «L’ordine di sospendere le lezioni è arrivato prima che avessimo il tempo di affrontare l’argomento. Ma appena riaprirann­o la scuola, lo faremo», promette la maestra elementare Annalisa Molin, padovana. «Agli alunni più piccoli va chiesto che cosa sanno del virus, cosa li spaventa... Cercherò di rassicurar­li. Con gli studenti più grandi, invece, si può pensare a una vera e propria lezione di Scienze incentrata su cosa siano i virus e come si diffondano». Tutto, in fondo, può trasformar­si in un’occasione per imparare qualcosa di nuovo.

Per i genitori, però, non è una situazione facile. Su Facebook ha avuto un discreto successo la frase di Silvia Q.: «Si parla di scuole chiuse fino all’8 marzo. I genitori chiedono lo stato di calamità». Per riderci su, ma neanche tanto.

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