Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Il coronavirus disegnato (e raccontato) dai piccoli
Scuole chiuse, genitori a casa e la malattia da abbattere con i missili. I disegni raccontano l’emergenza vista dai più piccoli. L’esperta: «Giusto parlarne con loro»
Il coronavirus ridotto a palline colorate (con la corona, ovviamente), scacciate via da tanti bambini perché «l’unione fa la forza», o trasformato in per stare in famiglia a giocare. Per Giovanni - otto anni di Padova - è una palla da volley in una bella giornata di sole, mentre per Ilaria - dieci anni, vicentina - meglio riderci sopra facendo «la linguaccia a quel prepotente di un virus».
Ecco come i bambini vedono il «temibile incubo» di cui non si può fare a meno di parlare. Con i disegni, provano a dare un volto a quella parola che ha travolto e stravolto anche le loro vite. Per alcuni, ci sono pure aspetti positivi: qualche giorno di inaspettata vacanza da scuola, mamma e papà costretti a lavorare da casa o ad affidarli a nonni, zii, baby sitter.Mac osaci dicono questi disegni? «Sono colorati, alcuni ironici. Ma a volte questo comportamento maschera una certa ansia. Il bambino che ha bisogno di coccole va rassicurato, la linguaccia al virus può nascondere una paura “esorcizzata” dallo sberleffo» spiega Beatrice Benelli, psicologa dello sviluppo a lungo docente all’Università di Padova.
Il compito dei genitori in questi casi è importante ma spesso i grandi non sanno come affrontare il problema con i figli. Eppure, quello del coronavirus è un «tema» entrato con una tale profondità nell’esistenza di tutti, che non si può ignorare. «Ai bambini vanno spiegate le cose senza per forza dover semplificare – spiega – anche quando i bambini sono piccoli è importante usare termini scientifici, indurre ragionamenti. E poi bisogna spiegare loro il motivo per cui si fanno dei sacrifici: rinunciare alla scuola e al carnevale serve a non contagiarci. Bisogna spiegare ai più piccoli che, se ci ammaliamo tutti contemporaneamente, i dottori non ce la fanno...». Ma ciò che aiuta di più i bambini
– assicura la psicologa - è l’atteggiamento dei genitori: «Deve rimanere più calmo e riflessivo possibile».
Mentre gli esperti si interrogano su quale sia il modo più giusto per aiutare i nostri figli a elaborare ciò che sta accadendo, Giacomo - cinque anni di Vicenza - schiera aerei e missili per combattere il virus, e la sua amica Gioia disegna le mattinate assieme a mamma, papà e sorellina. Clotilde, sei anni di Castelfranco, raffigura l’altalena sulla quale non può salire «perché i nonni dicono che è meglio restare in casa». Bianca (sei anni di Montecchio Maggiore) invece si gode la presenza dei genitori: «Oggi noi ci facciamo le coccole».
Anche in classe si può fare la differenza: «L’ordine di sospendere le lezioni è arrivato prima che avessimo il tempo di affrontare l’argomento. Ma appena riapriranno la scuola, lo faremo», promette la maestra elementare Annalisa Molin, padovana. «Agli alunni più piccoli va chiesto che cosa sanno del virus, cosa li spaventa... Cercherò di rassicurarli. Con gli studenti più grandi, invece, si può pensare a una vera e propria lezione di Scienze incentrata su cosa siano i virus e come si diffondano». Tutto, in fondo, può trasformarsi in un’occasione per imparare qualcosa di nuovo.
Per i genitori, però, non è una situazione facile. Su Facebook ha avuto un discreto successo la frase di Silvia Q.: «Si parla di scuole chiuse fino all’8 marzo. I genitori chiedono lo stato di calamità». Per riderci su, ma neanche tanto.