Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Il contagio tra ragione e castigo
Ora. La subitanea decisione delle autorità ecclesiastiche – tra l’altro su indicazione precisa di un’ordinanza ministeriale cui è seguita un’applicazione regionale – di sospendere le celebrazioni eucaristiche, ha fatto aprire il vaso di pandora di come molti credenti si pongono nel secolo. In questo secolo. «Si tratta (del coronavirus si sta parlando, ndr) di un ammonimento che ci dice che ci vuole poco per metterci in ginocchio»: il j’accuse di Radio Maria è sintomatico di un modo di concepire una teologia della storia in cui il Dio della misericordia scolorisce in un bel altro dio, un guardiano dell’universo pronto a castigare il genere umano per i suoi misfatti. Ecco poi le rimostranze - sui siti e sui profili social - dei cattolici più tradizionalisti contro quei presuli che, anche solo per motivi giuridicamente fondati, ma pure in nome di una semplice prudenza umana (che resta una virtù cardinale, sempre che il Catechismo della Chiesa cattolica non valga a targhe alterne), si sono premuniti di sospendere le messe. Incredibile a dirsi, qualche sito web vicino al mondo anti-Bergoglio ha titolato: «Perché rubarci la Messa, se questa sola guarisce dal male?». Dando mostra di un fideismo miracolistico un po’ paganeggiante, condito dalla convinzione che solo la soddisfazione di un precetto religioso valga all’uomo, in cambio, la preservazione dal virus made in Cina. O la vincita all’Enalotto. Oppure il posto fisso in banca per il figlio. E magari anche la salvezza eterna, già che ci siamo. Di tutto questo qualcosa ne sa l’arcivescovo di Modena Erio Castellucci che, in una comunicazione ufficiale, ha dovuto rintuzzare molte rimostranze, più strumentali che reali rispetto allo «no messe»: «Non mancano i tentativi maldestri di ricondurre l’origine del fenomeno (del coronavirus, ndr) a una presunta volontà punitrice di Dio, che circola da parte di cristiani evidentemente ignari della novità evangelica portata da Gesù». E ancora: «Chi sfrutta sempre queste occasioni per attaccare i pastori della Chiesa fa circolare accuse assurde verso i vescovi “igienisti” o troppo “compiacenti” nei confronti delle disposizioni emesse dalle autorità pubbliche». Bazzeccole, si dirà. Mica tanto. Perché qui, soggiacente, si può intravedere il non risolto – da parte di molti credenti – rapporto tra natura e fede, tra l’atto di credere e l’atto di ragione. Gratia supponit naturam, la grazia di Dio presuppone la natura dell’uomo, non è l’affermazione di qualche teologo che ha perso il lume della fede e si spinge, troppo fideisticamente, ad affermare l’assoluto dell’umano; né costituisce il dettato di qualche vescovo progressista che vuole sminuire la portata dell’azione salvifica divina a favore di un protagonismo antropocentrico. E’ semplicemente un’affermazione di San Tommaso d’Aquino, dottore della Chiesa, maestro di ragionamento. Che significa: se c’è un’epidemia di un virus che colpisce soprattutto gli anziani, e sono gli anziani le persone più a rischio, i luoghi dove gli anziani si ritrovano (le celebrazioni eucaristiche lo sono) sono da chiudere. Il sillogismo risulta stringente. Ma evidentemente nella polarizzazione che il cattolicesimo italiano sta vivendo oggi, anche un virus che è globale (come la fede) diventa buono per brandire la fede come una rivendicazione, per intendere la messa come un diritto, per presentare l’atto di credere in una maniera che evangelica, semplicemente, non è.