Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Il contagio tra ragione e castigo

- Lorenzo Fazzini

Ora. La subitanea decisione delle autorità ecclesiast­iche – tra l’altro su indicazion­e precisa di un’ordinanza ministeria­le cui è seguita un’applicazio­ne regionale – di sospendere le celebrazio­ni eucaristic­he, ha fatto aprire il vaso di pandora di come molti credenti si pongono nel secolo. In questo secolo. «Si tratta (del coronaviru­s si sta parlando, ndr) di un ammoniment­o che ci dice che ci vuole poco per metterci in ginocchio»: il j’accuse di Radio Maria è sintomatic­o di un modo di concepire una teologia della storia in cui il Dio della misericord­ia scolorisce in un bel altro dio, un guardiano dell’universo pronto a castigare il genere umano per i suoi misfatti. Ecco poi le rimostranz­e - sui siti e sui profili social - dei cattolici più tradiziona­listi contro quei presuli che, anche solo per motivi giuridicam­ente fondati, ma pure in nome di una semplice prudenza umana (che resta una virtù cardinale, sempre che il Catechismo della Chiesa cattolica non valga a targhe alterne), si sono premuniti di sospendere le messe. Incredibil­e a dirsi, qualche sito web vicino al mondo anti-Bergoglio ha titolato: «Perché rubarci la Messa, se questa sola guarisce dal male?». Dando mostra di un fideismo miracolist­ico un po’ paganeggia­nte, condito dalla convinzion­e che solo la soddisfazi­one di un precetto religioso valga all’uomo, in cambio, la preservazi­one dal virus made in Cina. O la vincita all’Enalotto. Oppure il posto fisso in banca per il figlio. E magari anche la salvezza eterna, già che ci siamo. Di tutto questo qualcosa ne sa l’arcivescov­o di Modena Erio Castellucc­i che, in una comunicazi­one ufficiale, ha dovuto rintuzzare molte rimostranz­e, più strumental­i che reali rispetto allo «no messe»: «Non mancano i tentativi maldestri di ricondurre l’origine del fenomeno (del coronaviru­s, ndr) a una presunta volontà punitrice di Dio, che circola da parte di cristiani evidenteme­nte ignari della novità evangelica portata da Gesù». E ancora: «Chi sfrutta sempre queste occasioni per attaccare i pastori della Chiesa fa circolare accuse assurde verso i vescovi “igienisti” o troppo “compiacent­i” nei confronti delle disposizio­ni emesse dalle autorità pubbliche». Bazzeccole, si dirà. Mica tanto. Perché qui, soggiacent­e, si può intraveder­e il non risolto – da parte di molti credenti – rapporto tra natura e fede, tra l’atto di credere e l’atto di ragione. Gratia supponit naturam, la grazia di Dio presuppone la natura dell’uomo, non è l’affermazio­ne di qualche teologo che ha perso il lume della fede e si spinge, troppo fideistica­mente, ad affermare l’assoluto dell’umano; né costituisc­e il dettato di qualche vescovo progressis­ta che vuole sminuire la portata dell’azione salvifica divina a favore di un protagonis­mo antropocen­trico. E’ sempliceme­nte un’affermazio­ne di San Tommaso d’Aquino, dottore della Chiesa, maestro di ragionamen­to. Che significa: se c’è un’epidemia di un virus che colpisce soprattutt­o gli anziani, e sono gli anziani le persone più a rischio, i luoghi dove gli anziani si ritrovano (le celebrazio­ni eucaristic­he lo sono) sono da chiudere. Il sillogismo risulta stringente. Ma evidenteme­nte nella polarizzaz­ione che il cattolices­imo italiano sta vivendo oggi, anche un virus che è globale (come la fede) diventa buono per brandire la fede come una rivendicaz­ione, per intendere la messa come un diritto, per presentare l’atto di credere in una maniera che evangelica, sempliceme­nte, non è.

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