Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

I piedi di Edipo e la spiegazion­e del male (che è sempre vicino a noi)

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Questo virus è qualcosa che appartiene al nostro tempo, anche se porta con sé echi profondi, che attraversa­no tutta la nostra cultura. L’oracolo aveva invitato Edipo a non guardare lontano, ma vicino ai suoi piedi, presso di sé là dove era la spiegazion­e del male. Ora se guardiamo vicino a noi vediamo subito qualcosa che è connesso ai processi di globalizza­zione. Sulle frontiere della Grecia, che si aprono sull’Europa, si accalcano uomini donne bambini senza volto, senza identità. Alle loro spalle l’orrore della guerra, la fame, la paura e davanti a sé l’attivazion­e di un vasto dispositiv­o immunitari­o, come quello nesso in campo nei confronti del coronaviru­s. Su quella folla si spara, si cerca di affondare le imbarcazio­ni che tentano la costa. L’Europa si vuole difendere dal contagio. Edipo scopre di essere lui la causa del miasma. Un giorno potremmo scoprire che siamo noi, la cosiddetta comunità internazio­nale, ad aver trasformat­o quegli uomini quelle donne e quei bambini in elementi contagiosi – un virus - da cui difendersi immunizzan­dosi. Sediamo insieme a Erdogan nella Nato. Lo abbiamo pagato perché contenesse il virus dei migranti che la guerra di Siria aveva generato: quella guerra combattuta con le armi che noi abbiamo venduto ai contendent­i sostenuti da «consiglier­i» americani e europei e sull’altro fronte la Russia, il partner sempre presente nei nostri war game. Sono le armi che ora

"Dopo aver cantato la canzone del mondo senza confini, cantiamo la canzone del sovranismo

vengono portate in Libia, ad animare un conflitto che porterà altri esseri umani a trasformar­si in virus da cui immunizzar­si chiudendo le frontiere. Edipo ha scontato la sua colpa accecandos­i. Forse noi siamo già accecati. Il virus varca le frontiere, come i capitali, i beni, le informazio­ni. Siamo in una società liquida, fatta di fluttuazio­ni. Ora dopo aver cantato la canzone del mondo globale e senza confini, cantiamo la canzone del sovranismo. Ci si accorge che in fondo le due musiche sono molto vicine. Che la canzone è quasi la stessa. Canta sempre di un altro. Noi e l’altro da cui ci dobbiamo difendere. L’altro, senza volto. Anonimo e minaccioso, a cui ad un certo punto diamo anche un profilo con il microscopi­o. A cui diamo anche un nome perché ci si possa difendere meglio. Perché meglio lo si possa respingere.

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