Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

LA CIVILTÀ DEI BALCONI

- Di Massimo Mamoli

Ora che i balconi hanno preso il posto delle piazze. Dei cortei, delle sardine e dei comizi. Ora che un popolo, tra gli interstizi del coprifuoco, si esprime dalle finestre, attraverso le luci, la musica, gli applausi, i tricolori. Al Nord come al Sud quel sentimento di scomposizi­one diffusa viene ricomposto da un crescente trasversal­e desiderio di unità.

Come una Ricostruzi­one latente ancora sotto le macerie. Accade nelle città dei condomini. Dove l’ascensore sociale al tempo della livella diventa più orizzontal­e. Anche se solo fisicament­e, perché nel suo prolungars­i la crisi divaricher­à le disparità polarizzan­dole. E così oggi sullo stesso piano trovi l’analista che lavora da casa e il pensionato che in casa ci deve stare aspettando un angelo che gli porti la spesa. Condomini Alcatraz dove l’evasione possibile è solo virtuale. Ma si sperimenta­no le più diverse forme possibili di vita. C’è il calciatore che si allena in garage ascoltando le istruzioni del mister, l’ingegnere che lava la macchina, l’insegnante che prepara il registro elettronic­o per gli alunni spodestati dai banchi, l’ex maresciall­o che sistema la cantina. Il ragazzo che fa il giro con la bici del parcheggio recintato. Tutti i giorni alla stessa ora il flash mob con le teste affacciate sulla strada. Il condominio diventa il piccolo mondo di ogni città, dove tutto inizia e tutto finisce ogni giorno per tutto il giorno per poi ricomincia­re nello stesso luogo. Dove le pareti diventano il limite all’interno del quale misurare la tenuta di una famiglia, in coabitazio­ne continua, o di una coppia, o di un single, in coabitazio­ne continua con se stesso. Il telegiorna­le ascoltato ogni santo dì ha l’attesa e la trepidazio­ne sotto le sirene dell’ultimo bollettino di Radio Londra ai tempi di un’altra guerra. Nei condomini mai come ora senti di tutto. Perché il pudore dei silenzi si è spostato sulle strade. Ma ogni volta che si apre una porta sembra un altro mondo. Chi scende le scale aspetta di essere solo o lo fa frettolosa­mente, si scansa, e se deve uscire fuori si guarda intorno come se intorno potesse spuntare un possibile inconsapev­ole nemico. Respira tornato al sicuro nel proprio fortino. Siamo diventati più piccoli nel micromondo dei condomini, ma probabilme­nte ne usciremo più grandi. Insetti nel formichier­e che fa scorta, piegati alla legge del decreto per vivere. Ma anche per garantire un futuro oltre al fragile presente. Proprio come fanno le formiche, rispetto alle cicale degli spritz. Guardare il vivere con gli occhi delle finestre diventa un modo per guardarsi dentro. Come probabilme­nte nemmeno il nuovo tempo del tutti siamo sostenibil­i ci aveva costretto a fare. Cosa saremo dopo, non ripartirà dalle piazze ma da quei balconi. Da quelle finestre. Da quelle case. Migliori se ne faremo memoria ogni giorno. Come i nostri padri e i nostri nonni hanno fatto con la propria guerra, la propria fatica, la propria speranza.

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