Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
LA DOPPIA POLARIZZAZIONE
Per ora è confinata al rango di semplice allusione o di mezza frase che fa capolino nelle conversazioni private tra amici e conoscenti, ma ha molte chances per diventare l’argomento che terrà banco nel dibattito pubblico non appena avremo superato la fase più acuta dello shock sanitario da Coronavirus. È un tema delicato, che Stefano Allievi ha introdotto nel dibattito proprio su queste colonne.
Dicendo pudicamente che i vari segmenti della popolazione saranno «colpiti in maniera differenziata» dagli effetti della prolungata emergenza, auspicando una «gigantesca operazione di redistribuzione da fare a breve» e rilevando che le politiche di questo tipo, come sempre, troveranno «ostacoli e resistenze» (cfr. Corriere del Veneto del 12 marzo).
Di cosa si tratta più in dettaglio? Siamo di fronte ai primi sintomi di una «doppia polarizzazione sociale», che si appresta ad abbattersi sulle nostre comunità con la forza per contagiare le relazioni sociali capillarmente e in un battibaleno. Per contrastarla, serve sin d’ora la capacità di progettare azioni di contenimento mirate, preventive e tempestive.
La prima polarizzazione separa quella parte della popolazione che dispone di riserve di risorse (materiali, finanziarie, cognitive e relazionali) per affrontare l’emergenza e chi invece non le ha. Che si tratti di persone anziane e sole, o di famiglie in difficoltà, o di imprese al limite del collasso, non c’è tempo per aspettare le politiche pubbliche di sostegno. Vanno promossi e sostenuti comportamenti di «cittadinanza attiva», basati sulla capacità della popolazione di organizzarsi in modo multiforme, di mobilitare risorse di qualsiasi tipo, e di agire con logiche specifiche e responsabili per tutelare e prendersi cura dei beni comuni. Ci servono solidarietà e generosità di vicinato: telefoniamo alle persone che sappiamo essere sole; rendiamoci disponibili per supportare chi ha bisogno (adesso) di una mano; diamo a chi ci abita accanto i nostri codici di accesso alla rete wi-fi; prestiamo i nostri tablet a chi non li ha ma ne avrebbe bisogno per lavorare o semplicemente per restare collegato con il resto del mondo senza uscire di casa; prestiamo denaro a conoscenti che ne hanno letteralmente bisogno per arrivare a domani o dopodomani; condividiamo le risorse ( anche aziendali) con chi ne ha necessità (adesso). In situazioni di criticità e pericolo, l’unica cosa che conta è risolvere il problema (efficacia) a prescindere da quanto costa farlo (efficienza) e senza la scorciatoia di rinviare la soluzione a chi di competenza.
La seconda polarizzazione è più sottile, ma molto più pervasiva. È quella che separa chi (come me) ha il posto di lavoro e lo stipendio che non dipendono in modo diretto e immediato dalle dinamiche di mercato, perchè «garantiti dalla mano pubblica», e chi invece sa fin d’ora che posto di lavoro e stipendio sono messi a rischio dall’inevitabile contraccolpo economico con cui faremo i conti appena usciremo dal tunnel dell’emergenza. Questa polarizzazione non diventi l’ennesima «sorpresa prevedibile» su cui spendere fiumi di inchiostro e litigare nei talk show televisivi tra fazioni opposte: si faccia qualcosa adesso o almeno ci si sforzi per lanciare un segnale forte. Come farlo? Chi ha uno stipendio pubblico più che
adeguato rispetto alle proprie esigenze si renda disponibile per un «prelievo volontario e temporaneo dallo stipendio», mettendolo a disposizione di chi, senza colpa, rischia il collasso personale, familiare o aziendale. Se a questa azione di «cittadinanza attiva» si aggiungessero anche tutte le persone benestanti a prescindere dalla natura del datore di lavoro, avremmo fatto una cosa buona e giusta.
Nell’ultima settimana, quando c’è stato chi ha provato a indicare il nostro Paese come l’«untore del mondo», parecchie persone hanno espresso pubblicamente l’orgoglio di essere italiani evocando e facendo girare video che narrano l’estro, l’ingegno, la creatività e la bellezza che il popolo italiano ha reso disponibili al mondo intero nelle lettere, nelle arti, nelle istituzioni e nelle imprese. È tutto giusto, ma non è abbastanza, perché si allude a valori che sono distanti da ciò che serve oggi in una situazione mai vista prima, in cui letteralmente è cambiato tutto e non si sa cosa succederà nei prossimi giorni. Oggi, servono azioni plug&play.