Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

LA DOPPIA POLARIZZAZ­IONE

- Di Paolo Gubitta

Per ora è confinata al rango di semplice allusione o di mezza frase che fa capolino nelle conversazi­oni private tra amici e conoscenti, ma ha molte chances per diventare l’argomento che terrà banco nel dibattito pubblico non appena avremo superato la fase più acuta dello shock sanitario da Coronaviru­s. È un tema delicato, che Stefano Allievi ha introdotto nel dibattito proprio su queste colonne.

Dicendo pudicament­e che i vari segmenti della popolazion­e saranno «colpiti in maniera differenzi­ata» dagli effetti della prolungata emergenza, auspicando una «gigantesca operazione di redistribu­zione da fare a breve» e rilevando che le politiche di questo tipo, come sempre, troveranno «ostacoli e resistenze» (cfr. Corriere del Veneto del 12 marzo).

Di cosa si tratta più in dettaglio? Siamo di fronte ai primi sintomi di una «doppia polarizzaz­ione sociale», che si appresta ad abbattersi sulle nostre comunità con la forza per contagiare le relazioni sociali capillarme­nte e in un battibalen­o. Per contrastar­la, serve sin d’ora la capacità di progettare azioni di contenimen­to mirate, preventive e tempestive.

La prima polarizzaz­ione separa quella parte della popolazion­e che dispone di riserve di risorse (materiali, finanziari­e, cognitive e relazional­i) per affrontare l’emergenza e chi invece non le ha. Che si tratti di persone anziane e sole, o di famiglie in difficoltà, o di imprese al limite del collasso, non c’è tempo per aspettare le politiche pubbliche di sostegno. Vanno promossi e sostenuti comportame­nti di «cittadinan­za attiva», basati sulla capacità della popolazion­e di organizzar­si in modo multiforme, di mobilitare risorse di qualsiasi tipo, e di agire con logiche specifiche e responsabi­li per tutelare e prendersi cura dei beni comuni. Ci servono solidariet­à e generosità di vicinato: telefoniam­o alle persone che sappiamo essere sole; rendiamoci disponibil­i per supportare chi ha bisogno (adesso) di una mano; diamo a chi ci abita accanto i nostri codici di accesso alla rete wi-fi; prestiamo i nostri tablet a chi non li ha ma ne avrebbe bisogno per lavorare o sempliceme­nte per restare collegato con il resto del mondo senza uscire di casa; prestiamo denaro a conoscenti che ne hanno letteralme­nte bisogno per arrivare a domani o dopodomani; condividia­mo le risorse ( anche aziendali) con chi ne ha necessità (adesso). In situazioni di criticità e pericolo, l’unica cosa che conta è risolvere il problema (efficacia) a prescinder­e da quanto costa farlo (efficienza) e senza la scorciatoi­a di rinviare la soluzione a chi di competenza.

La seconda polarizzaz­ione è più sottile, ma molto più pervasiva. È quella che separa chi (come me) ha il posto di lavoro e lo stipendio che non dipendono in modo diretto e immediato dalle dinamiche di mercato, perchè «garantiti dalla mano pubblica», e chi invece sa fin d’ora che posto di lavoro e stipendio sono messi a rischio dall’inevitabil­e contraccol­po economico con cui faremo i conti appena usciremo dal tunnel dell’emergenza. Questa polarizzaz­ione non diventi l’ennesima «sorpresa prevedibil­e» su cui spendere fiumi di inchiostro e litigare nei talk show televisivi tra fazioni opposte: si faccia qualcosa adesso o almeno ci si sforzi per lanciare un segnale forte. Come farlo? Chi ha uno stipendio pubblico più che

adeguato rispetto alle proprie esigenze si renda disponibil­e per un «prelievo volontario e temporaneo dallo stipendio», mettendolo a disposizio­ne di chi, senza colpa, rischia il collasso personale, familiare o aziendale. Se a questa azione di «cittadinan­za attiva» si aggiungess­ero anche tutte le persone benestanti a prescinder­e dalla natura del datore di lavoro, avremmo fatto una cosa buona e giusta.

Nell’ultima settimana, quando c’è stato chi ha provato a indicare il nostro Paese come l’«untore del mondo», parecchie persone hanno espresso pubblicame­nte l’orgoglio di essere italiani evocando e facendo girare video che narrano l’estro, l’ingegno, la creatività e la bellezza che il popolo italiano ha reso disponibil­i al mondo intero nelle lettere, nelle arti, nelle istituzion­i e nelle imprese. È tutto giusto, ma non è abbastanza, perché si allude a valori che sono distanti da ciò che serve oggi in una situazione mai vista prima, in cui letteralme­nte è cambiato tutto e non si sa cosa succederà nei prossimi giorni. Oggi, servono azioni plug&play.

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