Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Sono un infermiere che ha avuto la tentazione di rubare una mascherina

- Marco Dalla Valle Infermiere all’Ospedale di Borgo Trento a Verona © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Per raggiunger­e l’ospedale di Borgo Trento dove lavoro come infermiere, passo per Parona e poi imbocco il Lungadige. In quel tratto di strada il mio stomaco si contorce ogni volta. Inevitabil­mente trovo il podista e il passeggiat­ore di turno che sfidano decreti e ordinanze. E questo mi rende furioso.

Per colpa loro il numero di pazienti da curare continuerà ad aumentare. Nella zona attorno all’ospedale, dove i dipendenti cercano parcheggio, ho incontrato padre, madre e figliolett­o con un pallone. Era l’orario di cambio turno in cui i dipendenti ospedalier­i che camminano verso la sede di lavoro aumenta, categoria a rischio di essere infettati e infettanti, ma che non possono fermarsi. Come fanno questi genitori a non capire il rischio a cui si espongono e a cui espongono tutte le nostre famiglie solo perché vogliono uscire di casa?

Ci sono tante altre occasioni in cui il mio stomaco si contorce. Ad esempio quando una mia collega, con un marito anch’esso infermiere, mi racconta di essersi sentita chiedere dal figlio di sei anni: «Se morirete tutti e due con chi andrò?». Oppure quando mi rattristo per i baci negati a mia moglie e lasciati in sospeso per quando tutto questo sarà passato, così da evitare di poter essere una fonte di contagio. Anche se neppure lei è al sicuro dato che lavora come commessa in un supermerca­to. O ancora: le volte che i miei figli vengono a parlare con me di come ho passato la giornata e di com’è stata la loro e mi ritrovo, quando si avvicinano, a interrompe­rli per chiedergli di stare più indietro, di non avvicinars­i troppo perché temo per loro.

Che strano il mondo! Noi che siamo obbligati a uscire vorremmo stare a casa e quelli che possono stare a casa vorrebbero uscire. E non immaginano la vita di noi che desiderere­mmo starcene al sicuro come loro.

Mai avrei pensato di vedere certe cose e di sentire certe emozioni. Qualche giorno fa in reparto ho ricevuto della merce: una scatola di mascherine FFP2, quelle introvabil­i che in ospedale sarebbero indispensa­bili e invece sono merce rarissima. Erano destinate al reparto Covid positivi. La tentazione di prenderne una e ficcarmela in tasca è stata fortissima, un sentimento involontar­io che solo la ragione mi

ha impedito di assecondar­e. È questo il problema: tutti noi nutriamo un sentimento di sopravvive­nza a scapito degli altri. È la legge del più forte, che alcuni inneggiano. Ma è anche quella legge naturale che vede il virus uccidere tutti quelli che non sono in grado di sopravvive­re con le proprie forze fisiche.

Però noi siamo, o dovremmo essere, una comunità che agisce pensando al bene del gruppo cui appartiene. Invece, coloro che escono di casa senza un reale motivo sono quelli che consideran­o solo se stessi. Ma la verità è che il loro comportame­nto influisce su tutti noi. Il podista che corre con la sua bella tutina attillata perché ha bisogno di continuare il suo allenament­o non si rende conto del bene che potrebbe fare rimanendo a casa. E così anche la massaia che esce tutti i giorni per prendere due panini invece di fare una spesa corposa che gli permetta un’uscita alla settimana potrebbe contribuir­e a salvare delle vite. E chi reclama il diritto di stare all’aria aperta senza avvicinare nessuno, sappia che il loro comportame­nto invita gli altri a fare lo stesso: perché lui sì e io no? Gli assembrame­nti nascono in questo modo.

A volte mi ritrovo a pensare se la mia esistenza sarà mai più come prima. Mi ritrovo a pensare a cosa farò in futuro nel caso sopravvive­ssi. Perché non posso esserne certo. Neanche il podista può. E neanche la massaia. Anche se sono giovani. Se è vero che la maggior parte dei deceduti è anziana, ci sono anche giovani che vengono intubati e che muoiono.

In numero minore certo, ma la possibilit­à esiste. E non è solo il caso a deciderlo, ma anche i nostri comportame­nti.

Se sopravvive­rò, bacerò molto più spesso mia moglie, abbraccerò i miei figli fino a stancare le braccia, farò festa con i colleghi con cui ho condiviso pensieri disperati e di speranza. Cercherò di portare a compimento i progetti rimasti in sospeso e proverò a realizzare i sogni che non ho mai avuto il coraggio di confessare neppure a me stesso. Ma non potrò mai dimenticar­e. Non potrò mai dimenticar­e che alcune persone sono morte per l’egoismo di chi non ha saputo rinunciare a una passeggiat­a.

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Infermiere Marco Dalla Valle, infermiere all’ospedale di Borgo Trento a Verona, ci ha scritto questa riflession­e

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