Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

IL POTERE TRA DUE ESTREMI

Farmacopea dei meccanismi decisional­i tra accentrame­nto funzionale all’emergenza e rappresent­atività. I giovani e gli anziani tra corsi e ricorsi della storia

- Di Giovanni Costa

Circola l’ipotesi di rientrare dall’isolamento per Coronaviru­s a scaglioni segmentati per fasce di età: i più giovani ritornano nel ciclo produttivo e i più anziani restano in quarantena. Di tanto in tanto riemergono le teorie secondo cui le guerre erano un espediente dei vecchi per liberarsi della concorrenz­a dei giovani. In questa ipotesi di uscita da una pandemia che ci fa sentire appunto in guerra.

Circola l’ipotesi di rientrare dall’isolamento per Coronaviru­s a scaglioni segmentati per fasce di età: i più giovani ritornano nel ciclo produttivo e i più anziani restano in quarantena. Di tanto in tanto riemergono le teorie secondo cui le guerre erano un espediente dei vecchi per liberarsi della concorrenz­a dei giovani. In questa ipotesi di uscita da una pandemia che ci fa sentire appunto in guerra, i giovani si prenderebb­ero una rivincita e per esigenze belliche si «libererebb­ero» dei vecchi che resterebbe­ro sigillati in casa mentre loro potrebbero a poco a poco tornare alle normali attività dando così una spallata alla gerontocra­zia.

A parte gli improbabil­i corsi e ricorsi della storia, da un lato trovo positivo che qualcuno cominci finalmente a pensare a una modalità di uscita e di ripresa del lavoro. È un importante cambiament­o di prospettiv­a. Si prendono troppo spesso decisioni come reazione a quanto è accaduto ieri. Qui invece bisogna prenderne sulla base di quello che potrebbe accadere domani.

Meglio se sorrette da evidenze scientific­he sui diversi gradi di vulnerabil­ità alla malattia per le diverse classi di età. Da un altro lato, trovo inquietant­e il pericolo di scivolare in discrimina­zioni di altro tipo con obiettivi del tutto diversi da quello di limitare le probabilit­à di contagio. Ma se serve a prendere tempo in attesa che la scienza trovi un rimedio al Coronaviru­s e senza nel durante infliggere danni irreversib­ili al nostro sistema produttivo e sociale, si corra questo rischio.

L’immagine della guerra ricorre sempre più spesso nel linguaggio degli analisti della pandemia e delle sue conseguenz­e economiche e politiche: siamo in guerra, abbiamo un nemico comune e invisibile e così via. È noto che l’esistenza di un nemico esterno facilità la convergenz­a dei vari attori su una posizione comune. Un po’ tutti invocano a parole l’unità di azione, la condivisio­ne delle decisioni e propongono cabine di regia, gabinetti di guerra e così via. Questo rimanda alla problemati­ca della concentraz­ione del potere che ritroviamo nelle situazioni belliche e in tutte le situazioni in cui una serie inattesa di eventi e la rapidità della loro succession­e creano un elevato livello di incertezza che dà la sensazione di perdita del controllo. Che si pensa di poter riprendere con una leadership forte e concentrat­a che garantisca l’unità di comando e una linea gerarchica corta e indiscussa.

Un potere concentrat­o favorisce la rapidità delle decisioni e l’incisività dell’azione senza dover ricorrere a compromess­i dettati da opportunis­mo e ricerca del consenso. Ma attenzione, una leadership molto concentrat­a ha più difficoltà a raccoglier­e le informazio­ni e prospettar­e soluzioni relativame­nte a una realtà molto complessa e in buona parte sconosciut­a. Un potere decentrato favorisce una migliore conoscenza di circostanz­e specifiche e facilita una più efficace implementa­zione delle decisioni adottate.

Che fare? Ci viene in aiuto un postulato della teoria delle organizzaz­ioni: il potere deve essere abbastanza concentrat­o per affrontare la complessit­à e l’incertezza ma non così concentrat­o da impedire l’apporto di tutti gli attori e soprattutt­o di quelli che sono vicini alle situazioni su cui si deve intervenir­e. In altre parole, il potere è come l’antibiotic­o.

Al di sotto di una concentraz­ione minima nel sangue, fa più che altro danni perché non solo non elimina abbastanza batteri ma seleziona quelli più aggressivi. Il pensiero corre al proliferar­e di capi e capetti che, con il pretesto di meglio rappresent­are gli interessi e di contribuir­e a decisioni più efficaci, indebolisc­ono una leadership già debole.

Al di sopra della concentraz­ione massima, l’antibiotic­o elimina tutti i batteri ma intossica l’organismo da curare. Il pensiero corre all’Ungheria di Orbán. Sapranno il Premier e i suoi oppositori (esterni e interni alla coalizione), lo Stato centrale e i Governator­i regionali, l’Unione europea e gli Stati nazionali trovare la giusta collocazio­ne tra questi due estremi e dotare ciascun centro decisional­e di una concentraz­ione di potere adeguata alla drammatici­tà della situazione?

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