Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
IL POTERE TRA DUE ESTREMI
Farmacopea dei meccanismi decisionali tra accentramento funzionale all’emergenza e rappresentatività. I giovani e gli anziani tra corsi e ricorsi della storia
Circola l’ipotesi di rientrare dall’isolamento per Coronavirus a scaglioni segmentati per fasce di età: i più giovani ritornano nel ciclo produttivo e i più anziani restano in quarantena. Di tanto in tanto riemergono le teorie secondo cui le guerre erano un espediente dei vecchi per liberarsi della concorrenza dei giovani. In questa ipotesi di uscita da una pandemia che ci fa sentire appunto in guerra.
Circola l’ipotesi di rientrare dall’isolamento per Coronavirus a scaglioni segmentati per fasce di età: i più giovani ritornano nel ciclo produttivo e i più anziani restano in quarantena. Di tanto in tanto riemergono le teorie secondo cui le guerre erano un espediente dei vecchi per liberarsi della concorrenza dei giovani. In questa ipotesi di uscita da una pandemia che ci fa sentire appunto in guerra, i giovani si prenderebbero una rivincita e per esigenze belliche si «libererebbero» dei vecchi che resterebbero sigillati in casa mentre loro potrebbero a poco a poco tornare alle normali attività dando così una spallata alla gerontocrazia.
A parte gli improbabili corsi e ricorsi della storia, da un lato trovo positivo che qualcuno cominci finalmente a pensare a una modalità di uscita e di ripresa del lavoro. È un importante cambiamento di prospettiva. Si prendono troppo spesso decisioni come reazione a quanto è accaduto ieri. Qui invece bisogna prenderne sulla base di quello che potrebbe accadere domani.
Meglio se sorrette da evidenze scientifiche sui diversi gradi di vulnerabilità alla malattia per le diverse classi di età. Da un altro lato, trovo inquietante il pericolo di scivolare in discriminazioni di altro tipo con obiettivi del tutto diversi da quello di limitare le probabilità di contagio. Ma se serve a prendere tempo in attesa che la scienza trovi un rimedio al Coronavirus e senza nel durante infliggere danni irreversibili al nostro sistema produttivo e sociale, si corra questo rischio.
L’immagine della guerra ricorre sempre più spesso nel linguaggio degli analisti della pandemia e delle sue conseguenze economiche e politiche: siamo in guerra, abbiamo un nemico comune e invisibile e così via. È noto che l’esistenza di un nemico esterno facilità la convergenza dei vari attori su una posizione comune. Un po’ tutti invocano a parole l’unità di azione, la condivisione delle decisioni e propongono cabine di regia, gabinetti di guerra e così via. Questo rimanda alla problematica della concentrazione del potere che ritroviamo nelle situazioni belliche e in tutte le situazioni in cui una serie inattesa di eventi e la rapidità della loro successione creano un elevato livello di incertezza che dà la sensazione di perdita del controllo. Che si pensa di poter riprendere con una leadership forte e concentrata che garantisca l’unità di comando e una linea gerarchica corta e indiscussa.
Un potere concentrato favorisce la rapidità delle decisioni e l’incisività dell’azione senza dover ricorrere a compromessi dettati da opportunismo e ricerca del consenso. Ma attenzione, una leadership molto concentrata ha più difficoltà a raccogliere le informazioni e prospettare soluzioni relativamente a una realtà molto complessa e in buona parte sconosciuta. Un potere decentrato favorisce una migliore conoscenza di circostanze specifiche e facilita una più efficace implementazione delle decisioni adottate.
Che fare? Ci viene in aiuto un postulato della teoria delle organizzazioni: il potere deve essere abbastanza concentrato per affrontare la complessità e l’incertezza ma non così concentrato da impedire l’apporto di tutti gli attori e soprattutto di quelli che sono vicini alle situazioni su cui si deve intervenire. In altre parole, il potere è come l’antibiotico.
Al di sotto di una concentrazione minima nel sangue, fa più che altro danni perché non solo non elimina abbastanza batteri ma seleziona quelli più aggressivi. Il pensiero corre al proliferare di capi e capetti che, con il pretesto di meglio rappresentare gli interessi e di contribuire a decisioni più efficaci, indeboliscono una leadership già debole.
Al di sopra della concentrazione massima, l’antibiotico elimina tutti i batteri ma intossica l’organismo da curare. Il pensiero corre all’Ungheria di Orbán. Sapranno il Premier e i suoi oppositori (esterni e interni alla coalizione), lo Stato centrale e i Governatori regionali, l’Unione europea e gli Stati nazionali trovare la giusta collocazione tra questi due estremi e dotare ciascun centro decisionale di una concentrazione di potere adeguata alla drammaticità della situazione?