Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

L’uomo dei tamponi: «La via veneta? Test rapidi e autarchia»

Il primario al fronte: mai visto nulla di simile

- Silvia Madiotto

TREVISO I laboratori di Microbiolo­gia e Virologia del Ca’ Foncello di Treviso lavorano a turni di otto ore senza sosta, 24 ore al giorno, da settimane. Il primario è Roberto Rigoli, classe 1957, dal 1995 all’attuale Usl 2 e coordinato­re del servizio dal 2006. «Anche mio padre è stato microbiolo­go, insieme possiamo raccontare oltre mezzo secolo di sanità in questo settore e posso assicurare che non abbiamo mai visto nulla di simile».

Rigoli, vicepresid­ente dell’associazio­ne italiana dei microbiolo­gi clinici, è stato scelto dal governator­e Zaia per coordinare le attività delle microbiolo­gie del Veneto durante l’emergenza Covid.

Che giornate sono in prima linea?

«Un mese fa, quando ho capito la gravità della situazione, sono andato a vivere da solo, in isolamento, lontano da mia moglie e mia figlia. Nel nostro laboratori­o entrano ottocento, mille campioni al giorno. Non potevo esporre la famiglia ai rischi. I turni sono pesanti ma per affrontare queste emergenze bisogna essere fisicament­e forti e lucidi e io sono una roccia, non mollo mai».

Si fanno molti confronti fra la gestione dell’epidemia in Veneto e in Lombardia. Che differenze vede?

«Ci chiedono come siamo riusciti ad arginare i contagi, allo stato attuale negli ospedali non abbiamo il caos registrato in altre regioni. Dipende molto dai tamponi e dai test rapidi. In questo momento non bisogna fare troppo gli scienziati. Ci sono test con sensibilit­à minore di altri ma noi abbiamo scelto di usarli, per lavorare su numeri di massa. Altri hanno rifiutato la diagnostic­a non specifica; ora ci stanno copiando. Ad esempio i test rapidi di biologia molecolare messi a punto a Treviso sono serviti a non far entrare in ospedali e reparti pazienti contaminat­i. Avrebbero esteso

l’infezione; l’abbiamo evitato».

Il Veneto ha scelto la strada dell’autoproduz­ione. Cosa significa nel concreto?

«Il test più affidabile per il coronaviru­s è il tampone nasale faringeo e si fa in tre fasi. La prima, dopo la raccolta, prevede che il tampone venga immerso in un liquido che gli consente di stabilizza­re le caratteris­tiche per l’analisi. La seconda fase è l’estrazione dell’Rna, il codice genetico del virus, che si fa con kit commercial­i. La terza è l’estratto della pcr, la metodica molecolare per cui si amplifica il genoma virale. Ciascuna delle fasi richiede componenti industrial­i».

Ne avete a sufficienz­a?

«No, soprattutt­o il liquido reagente. Quando gli approvvigi­onamenti sono diminuiti abbiamo identifica­to le componenti e trovato una ditta veneta che ha iniziato a produrlo. Abbiamo costruito insieme il liquido e dopo le prove di

stabilità lo utilizzere­mo per saltare l’imbuto della carenza. Saremo autonomi».

Non dipenderet­e più dalle multinazio­nali...

«Esatto. L’estrazione è delicata, stiamo facendo prove con temperatur­e elevate o strumenti specifici a mano che ci permettono di farla. Cerchiamo alternativ­e: vorremmo diventare autonomi in due fasi su tre».

Sull’uso degli anticorpal­i per monitorare l’andamento del virus e le immunità, la comunità medico-scientific­a si divide. Lei cosa ne pensa?

«Sono felice per chi ha delle certezze e prende posizioni nette. Noi non lo sappiamo, dobbiamo studiare. Per capire se sono utili o no bisogna provarli e correlarli con la

clinica, coi pazienti guariti e gli asintomati­ci che non sviluppano la patologia. È un virus nuovo, diverso, dobbiamo capirlo meglio».

Perché dice di non aver mai visto nulla di simile?

«Questo virus respirator­io è diverso in tre elementi. Ha un’incubazion­e più lunga, arriva a 14 giorni, gli altri a 24-72 ore. Quando un virus respirator­io cade su una superficie, muore in pochi minuti, questo può rimanere ore. Infine, un virus respirator­io dà polmoniti gravi quando si verifica una sovrainfez­ione batterica. Questo è letale senza la sovrainfez­ione: i danni sono tutti del virus».

"Rigoli Alcuni test sono più affidabili di altri ma abbiamo scelto una strada che ci ha consentito di lavorare sulla massa Così si è evitato di contagiare reparti e ospedali

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Prima linea Roberto Rigoli, primario del Ca’ Foncello di Treviso

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