Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Sì al decreto, ma subito i soldi»
Liquidità alle imprese, appello delle categorie al governo. E ieri ripresi i cicli produttivi in diverse fabbriche
VENEZIA Via libera del governo al decreto liquidità. «Ma ora subito i soldi» è l’appello delle categorie al governo. Intanto nel Nordest produttivo che preme per partire con la Fase 2, sono molte le aziende che hanno riaperto ieri.
La sfida che ci aspetta (fra salute e ripresa)
Concludendo: «Si tratta di un crollo superiore a quello del 2009». E sul piano microeconomico, ossia dei singoli attori dell’economia: gli imprenditori e le loro imprese, i lavoratori e le loro famiglie? Le previsioni macro risentono, giocoforza, dei diversi andamenti dei settori di cui si compone un’economia, nazionale o regionale che sia. Territori, per esempio, dove pesano molto settori manifatturieri come l’alimentare, il biomedicale, la farmaceutica, la meccanica strumentale legata a tutte queste produzioni (packaging) e la logistica, possono – cum grano salis - iniziare a pensare alla cosiddetta «Fase 2». Più lenta, purtroppo, sarà la ripresa per i territori dove un contributo rilevante alla formazione della ricchezza viene, ad esempio, dalla manifattura legata al sistema moda, dall’edilizia, dal turismo e dalle connesse attività alberghiere e commerciali. In verità, in ognuno dei nostri territori del Veneto, del Trentino Alto Adige e dell’EmiliaRomagna coesistono le attività – manifatturiere e terziarie – che qui abbiamo sommariamente elencato. Questo rende ancor più impegnativa la sfida della (progressiva) riapertura delle attività, giacché la coesistenza avviene in proporzioni anche assai diverse fra città e regioni. E’ giusto che ognuna delle comunità regionali, mobilitando le migliori energie da tutti gli ambiti della società civile, prefiguri un sentiero verso quella che sarà la nuova normalità del post-coronavirus. Vi sono, tuttavia, alcune condizioni generali da rispettare prima di avviare qualsiasi organico discorso sulla «Fase 2». Primo, le riaperture delle imprese che man mano avranno luogo, a cominciare da quelle legate alle filiere produttive più importanti per l’industria italiana (e quindi per il nostro export) e alle catene globali del valore (e quindi per la nostra proiezione internazionale), dovranno attuarsi nel più assoluto rispetto delle condizioni di sicurezza per i lavoratori. Secondo, l’afflusso di liquidità alle imprese di tutte le dimensioni, da quelle individuali alle multinazionali passando per le Pmi, grazie all’ampio ventaglio di garanzie pubbliche sui prestiti alle imprese approvato dal Consiglio dei Ministri, dovrà essere rapido e consistente. Terzo, una corposa linea di finanziamenti «europei», dedicati alle infrastrutture medico-sanitarie così come alla ricostruzione del tessuto connettivo delle nostre economie, sia finalmente approvata dall’Eurogruppo nella riunione in programma proprio oggi (o nella forma dell’emissione di Coronabond e/o nell’uso del Mes con le sole condizionalità legate all’appropriato uso dei fondi). Beninteso, l’Ue ha già preso importanti decisioni: l’iniziale pacchetto da 37 miliardi, le nuove norme sugli aiuti di Stato, la sospensione del Patto di stabilità e il finanziamento con 100 miliardi di schemi nazionali contro la disoccupazione (il programma Sure). C’è la potenza di fuoco della Bce, senza dimenticare l’opera della Banca europea degli investimenti. Ma è nella decisione sulla condivisione dei rischi fra Paesi, in quello che assomiglia per tutti a un dopoguerra, che risiede il vero discrimine fra l’Europa della solidarietà e l’Europa degli egoismi.
"Confindustria
Le aziende che hanno ripreso il lavoro sono essenziali o sono autorizzate e tutte rispettano i protocolli di sicurezza
I controlli
Lo Spisal ha dato esito positivo in termini di misure di sicurezza a quasi tutte le aziende
In fila indiana, distanti
VENEZIA un metro l’uno dall’altro e, prima di timbrare il cartellino, il «termoscan», il termometro che rivela se l’operaio ha la febbre. Succede a Porto Marghera, la zona industriale più grande della regione, come anche in realtà più piccole, dove il lavoro ieri è ripartito per migliaia di addetti. Circa 14 mila imprese venete hanno comunicato alle prefetture che, in deroga ai codici Ateco con cui il governo ha definito le attività essenziali, si sarebbero rimesse in marcia e per molte ieri è stato appunto il primo giorno di attività.
Tra queste la Tipografia Asolana, nel Trevigiano, che sta stampando materiali informativi per ditte farmaceutiche lombarde e per il comparto del mobile che ne sollecitava la produzione in vista del post-emergenza. «Abbiamo sanificato l’azienda, tutti sono dotati di guanti e mascherine e tra una macchina e l’altra ci sono sei metri, il personale grafico e amministrativo è in smart working e le presenze sono ridotte a una trentina di persone - dice il titolare Marco Zanesco - Non potevamo non ripartire, avevamo in magazzino la carta per commesse già avviate: seguiamo tutti i protocolli di sicurezza».
«Le aziende che hanno ripreso l’attività sono riconosciute come essenziali o hanno ricevuto regolare autorizzazione della Prefettura perché funzionali alle filiere necessarie - sottolinea Confindustria del Veneto - Tutte si sono attrezzate per applicare e rispettare le rigorose misure di sicurezza, stabilite lo scorso 14 marzo a Roma».
Lo Spisal sta verificando che le regole siano rispettate: in due settimane ha controllato 3.774 aziende, per un totale di 194.450 dipendenti all’opera. «Nessuna impresa è stata
Renzo Rosso: «Al lavoro quanto prima»
sanzionata o chiusa per irregolarità», sottolinea l’assessore regionale ai Servizi sociali Manuela Lanzarin. «I controlli, è vero, ci sono - conferma Giuseppe Callegaro, Femca Cisl Venezia - agli ingressi del Petrolchimico viene misurata la febbre, sono stati diversificati i turni e c’è stata una spinta sullo smart working». Aggiunge Davide Camuccio, Filctem Cgil Venezia: «Esistono aziende di serie A, B e C. Le prime due tipologie, come Eni, Zignago, Pilkington o il colorificio San Marco, hanno ridimensionato le produzioni, messo oltre il 50% del personale in telelavoro e seguono i protocolli. Il problema è in quelle più piccole, di serie C,
VENEZIA «Dobbiamo tornare a lavorare prima possibile per non danneggiare in modo irreparabile la nostra economia e le nostre aziende, ma bisogna ridisegnare il modo di lavorare, garantendo la sicurezza delle persone». Renzo Rosso, patron di Diesel, interviene sul momento economico dettato dalla pandemia e auspica una ripartenza in tempi stretti. «La moda farà sempre parte della vita delle persone», dice il creatore di Only the brave: «Appena possibile si tornerà alla normalità, ma serve l’aiuto dell’Europa». spesso non c’è rappresentanza sindacale, lì la situazione è più difficile e dalle segnalazioni che abbiamo sono diverse che, coperte dai codici Ateco, non operano correttamente».
Da Venezia a Verona, da Belluno a Rovigo, sarebbe scattato un meccanismo virtuoso che copre tutte le filiere, dall’agroalimentare alla chimica passando per l’aerospaziale (Leonardo di Tessera ha avuto il via libera ad assemblare elicotteri) e le riconversioni. È il caso della Labomar di Istrana che ora realizza gel disinfettante. «Chi sta riaprendo ha bisogno di molti fornitori - conclude Confindustria - per questo è necessario lavorare per la ripartenza progressiva di tutti: solo così si potranno contenere i costi sociali ed economici della pandemia».
I sindacati restano preoccupati per chi ogni giorno entra in fabbrica ma al contempo si rendono conto che la cassa integrazione che, ad esempio, coinvolge tutto il manufatturiero (i laboratori delle scarpe haute couture in Riviera del Brenta sono fermi al pari del vetro) è un serio problema per le famiglie: «Non solo vivono con meno di mille euro al mese, ma temono di perdere il posto di lavoro», dicono i rappresentanti dei lavoratori. «Che sono stretti tra due crisi: la sanitaria e l’economica e se chiamati a lavorare, lavorano», dice Antonio Silvestri, segretario regionale della Fiom, l’organizzazione più critica verso il riavvio delle produzioni. «La serrata era la scelta migliore, mi auguro che ci si ricordi delle tute blu - conclude - che tanto stanno rischiando per stipendi da 1.400 euro, quando va bene».