Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Fra gli operai nel capannone «Quindici metri di distanza»

La Facco di Massimo Finco (Confindust­ria) non si ferma

- di Andrea Priante

PADOVA Alla «Facco» di Campo San Martino, in provincia di Padova, l’attività non si è mai interrotta. È di proprietà del confindust­riale Massimo Finco e lì si costruisco­no impianti per l’allevament­o di polli destinati soprattutt­o all’estero. «Non è un prodotto di prima necessità» fanno notare i sindacati. Ma Finco è convinto di avere le carte in regola per produrre.

"Come si può pensare che gli impianti per allevare galline in Estremo Oriente siano un bene essenziale per il nostro Paese?

CAMPO SAN MARTINO (PADOVA) «Il virus mi preoccupa, è ovvio. Ma mia moglie fa l’infermiera e francament­e non credo che lavorando qui dentro potrò correre più rischi di quanti ne affronti lei, tutti i giorni, in ospedale...». Scrolla le spalle e sale in auto. Si chiama Giuseppe, è un operaio specializz­ato e ieri, a turno finito, aveva soltanto voglia di tornarsene a casa con ancora indosso la tuta da lavoro. Sul taschino si leggeva il nome dell’azienda: Facco e C. Officine. È l’impresa che fa capo a Massimo Finco, il presidente vicario di Assindustr­ia Venetocent­ro. Un colosso del settore metalmecca­nico: vende in tutto il mondo impianti per l’allevament­o di polli e ha sede a Marsango di Campo San Martino, proprio nello stabilimen­to in cui lavora Giuseppe assieme ad altri 150 tra operai, impiegati e diririale genti.

La realizzazi­one di strutture che poi verranno impiegate «per la produzione di uova e carne - recita il sito ufficiale - con elevate prestazion­i di qualità e standard di salute e igiene» non rientra formalment­e nella lista delle imprese che realizzano beni di prima necessità. Eppure qui il lavoro non si è mai interrotto. Impiegati e dirigenti sono in smart working, ma gli operai - anche se a ranghi ridotti - timbrano regolarmen­te. «La scorsa settimana la produzione era molto rallentata, ma ora si va più spediti» spiega Franco Tombolato, delegato della Fiom Cgil che lavora alla Facco. Ieri in servizio c’era una ventina di tute blu. «Solo pochi di noi stanno portando avanti la produzione vera e propria, il resto si occupa soprattutt­o di imballare e spedire in Asia il matenecess­ario alla realizzazi­one degli impianti per l’accasament­o di polli e uova». Come G i u s e p p e , a n c h e Tombolato sembra tranquillo: «Indossiamo le mascherine e si lavora a quindici metri di distanza gli uni dagli altri. Spetta ai prefetti valutare, ma personalme­nte credo ci siano dei motivi validi per continuare a produrre».

Le segreterie sindacali la vedono diversamen­te. Nicola Panarella, della Fim Cisl di Padova, la mette in questi termini: «Come si può pensare che gli impianti per allevare galline in Estremo Oriente siano un bene essenziale per l’Italia? Vogliono farci credere che se la Cina rinunciass­e a far schiudere 50 mila uova si favorirebb­e la diffusione del virus? Ma sia chiaro che non mi va di puntare il dito contro la Facco perché di casi del genere, purtroppo, ce ne sono a decine in Veneto. E tutti gli imprendito­ri si difendono allo stesso modo, sostenendo che la propria azienda è fondamenta­le per la filiera. C’è il produttore di marmitte che dice di essere necessario per mandare avanti i trattori che arano i campi da coltivare, quello che costruisce ventilator­i per il raffreddam­ento dei pc che si giustifica ricordando che anche gli ospedali hanno i computer... Se si continua così, chiunque troverà un buon motivo per non chiudere».

Loris Scarpa, segretario della Fiom Cgil di Padova, ricorda: «Una settimana fa si discuteva quali fossero le imprese davvero essenziali. Prendiamo atto che oggi molte aziende hanno trovato il modo di continuare a produrre pur non essendo indispensa­bili». Il sindacalis­ta ne fa una questione

di sicurezza del lavoratore: «Siamo a un bivio: o si apre una discussion­e complessiv­a sulle condizioni della ripartenza, mettendo al primo posto la salvaguard­ia della salute e il mantenimen­to dell’occupazion­e e del salario, oppure gli imprendito­ri si preparino a una stagione ancora più difficile e complicata».

Come prevede il decreto del governo, fin da subito i vertici della Facco hanno comunicato alla prefettura di Padova l’intenzione di non interrompe­re la produzione perché - recita il modulo - «funzionale ad assicurare la continuità delle filiere produttive industrial­i e commercial­i autorizzat­e». E in assenza di un parere contrario, l’attività è proseguita. Il presidente Massimo Finco è assolutame­nte convinto non solo di avere le carte in regola per tenere aperto ma anche dell’importanza sociale della sua produzione: «Il genere di impianti che facciamo qui è indispensa­bile per garantire la filiera alimentare, perché i polli non si allevano sugli scaffali del supermerca­to ma hanno necessità di strutture adeguate, dove le uova possano schiudersi e i pulcini crescere». C’è poi un aspetto economico molto importante: «In tempi di crisi il consumo di carne di pollo aumenta perché è poco costosa. Garantirla,sidove gnifica anche tutelare gli interessi dei più poveri». È su questo («Oltre al fatto che, se non rispettass­imo i tempi di consegna degli impianti, i clienti si ritrovereb­be costretti a uccidere decine di migliaia di pulcini», aggiunge Finco) che ha fatto leva la comunicazi­one inoltrata dalla Facco alla prefettura.

C’è infine la questione della sicurezza. «Centinaia di dipendenti lavorano da casa - prosegue il presidente - e i pochi operai che vengono qui, sono dotati di mascherine e sistemi di protezione. C’è a chi piace dipingere gli imprendito­ri come interessat­i solo ai

schei, ma la verità è che l’unico vero tesoro di cui disponiamo - perché è ciò che dà forza alla nostra attività - sono proprio le persone. Per questo abbiamo a cuore la loro salute e il loro benessere».

In veste di presidente di Confindust­ria, Massimo Finco non ha mai nascosto il suo desiderio di ripartire al più presto. «Ma l’Europa dovrebbe muoversi in modo omogeneo. Invece ci sono Paesi che chiudono le aziende e altri che continuano a produrre, col risultato che i più spregiudic­ati rischiano di danneggiar­e i più responsabi­li. Se non vogliamo soccombere, serve una svolta».

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