Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
LA SANITÀ CON L’AUTONOMIA NON SIA UN ALTRO CENTRALISMO
L’intervento La gestione dell’emergenza Covid riapre il tema Una riforma virtuosa deve coniugare equilibrio tra economie di scala e istanze locali. Ecco perché il modello di Zaia è sbagliato
Il vicesegretario nazionale del Pd Andrea Orlando, ripreso dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Andrea Martella, ha posto nei giorni scorsi un tema di grande attualità e rilevanza: la sanità deve tornare di competenza dello Stato per dare un servizio di qualità a tutti i cittadini? Lo spunto è stato troppo velocemente liquidato con una battuta dal presidente Zaia, orgoglioso di amministrare una Regione con i servizi sanitari tra i migliori del mondo. Nonostante lui.
Dibattere sul tema sanità in questi giorni credo sia inopportuno: tutti ci stringiamo intorno alle nostre strutture e a chi è costretto a prendere le decisioni, cercando di uscire bene e insieme dalla situazione drammatica che stiamo vivendo. Ma la questione si ripropone perfettamente anche in altri servizi, su cui l’equilibrio tra autonomia ed efficienza è altrettanto critico. E dove l’idea di autonomia del presidente Zaia è più evidentemente debole.
L’integrazione su ampia scala dei servizi, sanità, gestione rifiuti, acqua, ambiente, trasporti, … nasce dalla presenza di economie di scala evidenti in settori con elevati costi di investimento, ragione per cui in passato c’è stata una spinta a crescere sempre più la dimensione delle imprese di servizio, arrivando a generare diseconomie di scala, con inefficienze palesi legate alle dimensioni eccessive e alla incapacità di guardare ai bisogni locali dei territori. È stato il caso dell’energia elettrica, con il monopolio rigido di Enel superato nel 1992, delle ferrovie, suddivise in aziende territoriali all’inizio del secolo, ma anche più di recente della discussa esperienza di Azienda Zero nella sanità del Veneto.
Riemerge così la necessità di un’autonomia capace di tenere in debito conto le istanze locali, senza riproporre su scala diversa un centralismo e senza rinunciare al conseguimento delle economie di scala. Cioè, l’autonomia non sta nella scelta del punto di aggregazione dei servizi, ma nella definizione di modalità di gestione tali da far dialogare in modo propositivo i diversi livelli amministrativi, forti delle opportune competenze. Una riforma autonomista deve dare maggiore efficienza, non diseconomie dovute alla scala inadeguata, perché troppo piccola o troppo grande. E la maggior efficienza può contribuire fortemente all’equità nell’accesso ai servizi.
Su questo la battaglia veneta per l’autonomia sembra guidata più dall’ideologia di gratificare lo spirito da sempre libero di ciascuno di noi, che preferisce gestirsi le cose da solo pur di non fare la fatica di attivare un dialogo impegnativo tra istanze diverse, piuttosto che dalla ricerca di maggiore efficienza, e dunque benessere. Pensiamo alla gestione dei rifiuti in Veneto, per la quale manca un piano regionale che coordini l’attività delle aziende, perdendo l’efficienza di un settore vitale per la qualità della vita e la prospettiva di una virtuosa economia circolare. Ma pensiamo anche al trasporto pubblico locale, dove è in via di stanca approvazione il Piano Regionale, con grande ritardo e con l’assenza totale di un coordinamento regionale e di un accompagnamento alle legittime politiche locali. Che fine ha fatto il Sistema ferroviario metropolitano regionale? Ci è stato forse impedito da Roma di portarlo avanti?
Cosa significa dunque autonomia se non guida all’equilibrio tra economie di scala e istanze locali? Tra equità ed efficienza?
E su questo credo il punto di Martella e Orlando centri perfettamente la debolezza delle aspirazioni leghiste in salsa veneta, intrise dell’ideologia dell’autonomia per sé, ma prive di una capacità di interpretare in modo efficiente il ruolo di coordinamento tra i vari livelli amministrativi, dall’Europa, cui oggi ci rivolgiamo alla ricerca di un indispensabile aiuto, fino alle legittime autonome scelte dei comuni più piccoli.
Autonomia non è sostituire una centralità all’altra, è piuttosto un dialogo tra istanze differenti e protagonismo del territorio.