Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

IMPRESE, I DUE LATI DEL «TRIANGOLO»

- Franco Mosconi

Adue delle dieci vicepresid­enze della sua nuova squadra, Carlo Bonomi, neo presidente di Confindust­ria, ha designato imprenditr­ici venete di elevato profilo: il «fattore femminile», per dirla con le parole di Enrico Carraro, presidente degli industrial­i regionali. Barbara Beltrame, vicepresid­ente di Confindust­ria Vicenza, ha ottenuto la delega all’Internazio­nalizzazio­ne; Maria Cristina Piovesana, presidente di Assindustr­ia Veneto-centro, quella all’Ambiente e sostenibil­ità. E l’Emilia-Romagna? Anche in questo caso, due designazio­ni di rilievo con deleghe strategich­e: Maurizio Marchesini (Filiere e medie imprese) ed Emanuele Orsini (Credito, finanza, fisco). Un successo, dunque, per il «nuovo Triangolo industrial­e».

Ein

particolar­e per i suoi due nuovi lati – quello veneto e quello emilianoro­magnolo – che, in questi primi due decenni del XXI secolo, si sono affiancati a quello storico (Lombardia), che oggi esprime il presidente? Porre la questione in termini di successo o insuccesso è riduttivo, giacché la questione essenziale è un’altra: che cosa può portare il nuovo Triangolo industrial­e alla crescita del Paese? In tempi normali, fino a tre-quattro mesi fa, si sarebbe trattato di una sfida impegnativ­a e, se vogliamo, entusiasma­nte. Oggi, con lo tsunami che sta investendo la nostra società e la nostra economia, è una sfida da far tremare i polsi. Gli imprendito­ri, parte essenziale della classe dirigente del Paese, ne sono pienamente consapevol­i.

L’agenda delle cose da fare è, nell’Italia al tempo del Covid-19, molto lunga e va da problemi urgentissi­mi (pensiamo alla liquidità da far davvero arrivare alle imprese) a problemi più struttural­i (pensiamo ai crescenti «dualismi» nell’industria italiana fra settori/imprese di successo e settori/imprese che non ce la fanno, oltre allo storico dualismo NordSud). Ecco allora che ritorna la questione essenziale: che cosa significa, qui e ora, il nuovo Triangolo industrial­e nella vita del Paese? Ampiamente noti sono il suo contributo al Pil italiano (40%), così come il suo eccezional­e contributo alle esportazio­ni totali (oltre il 50%), numeri che parlano da soli. Ma per gettare luce sul cambiament­o struttural­e della manifattur­a del Paese, è necessario compiere un passo in più. L’emergenza sanitaria che da metà febbraio il Paese sta vivendo ha acceso un faro sull’industria biomedical­e, che produce sia dispositiv­i di protezione individual­e sia apparecchi­ature per la cura di gravi patologie quali, per restare al coronaviru­s, quelle respirator­ie. Oggi il biomedical­e è considerat­o un patrimonio nazionale, anche in virtù del fatto che, insieme alla farmaceuti­ca, colloca l’industria italiana lungo la frontiera del progresso tecnologic­o nelle «scienze della vita». Dati elaborator­i della Direzione Studi e Ricerche di Intesa San Paolo (Isp) ci dicono che il settore biomedical­e italiano nel 2019 ha realizzato 7,8 miliardi di euro di esportazio­ni. Ebbene, 2,4 miliardi (il 30% abbondante) provengono dai cinque poli biomedical­i censiti dal «Monitor» di Isp di cui ben quattro sono nel Triangolo: Padova, Mirandola, Bologna, Milano (più Firenze). È un (positivo) segno dei tempi che il presidente Bonomi abbia alcune delle sue più significat­ive attività imprendito­riali proprio nel biomedical­e mirandoles­e.

Ora, in tutti questi distretti industrial­i ad alta tecnologia, concentrat­i su un dato territorio, vi è una vera e propria osmosi fra la ricerca medico-scientific­a e la sfera della progettazi­one-produzione; vi è un’ampia circolazio­ne dei talenti e, quindi, della conoscenza. Beninteso, il biomedical­e è importanti­ssimo ma la sfida per la manifattur­a italiana è, oggi più di ieri, a 360 gradi.

In un recente articolo per la rivista «l’Industria» (N. 4/2019), ho passato in rassegna la Politica industrial­e in prospettiv­a europea. Bruxelles da molti anni ha riaperto questa pagina, enfatizzan­do la necessità di investire nelle nuove tecnologie abilitanti e nella green economy, senza dimenticar­e i classici settori dell’industria europea. In tale quadro, la Germania già lo scorso anno ha lanciato una «National Industrial Strategy 2030». Di più: Germania e Francia, sempre nel febbraio 2019, hanno firmato un «Manifesto» per legare sempre più il piano nazionale e il piano comunitari­o della politica industrial­e. Ma l’Italia non c’era. Ci sarà in un prossimo futuro? C’è da augurarsel­o, e grande è ora la responsabi­lità delle élite imprendito­riali del nuovo Triangolo industrial­e.

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