Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Treni e bus, il viaggio nella fase 2

Da Vicenza a Venezia, tre mezzi pubblici per raccontare il viaggio. L’operaio e l’anziano, i sedili per distanziar­e. Il marinaio contaperso­ne sul vaporetto Tra diffidenza e voglia di «contatto». La fermata aspettando Godot

- di Emilio Randon

VENEZIA Quindici persone sul bus, poche decine a bordo dei vaporetti a Venezia. Fra mascherine, gel e diffidenza è partita la «fase 2» dei trasporti.

Lenti, un po’ arrugginit­i, sempre soli ma in campo aperto finalmente, fuori a vedere il mondo come è cambiato. Stessa strada, stesso tram, stessi percorsi eppure niente è come prima e noi somigliamo tutti a dei soldati mandati in avanscoper­ta a perlustrar­e un territorio ostile.

Non siamo pronti. Ci manca il vocabolari­o tanto per cominciare: se prima eravamo in lockdown come la chiamiamo questa nuova condizione? «Fuori tutti» come l’«all in» del pokerista? - che sia una partita a poker con il Covid 19 è sicuro, noi e lui impegnati in un bluff temerario a chi si spaventa prima e lascia il tavolo – ma il fuori tutti non c’è e l’inglese non ha un contrario altrettant­o seducente. Per fortuna che in stazione a Vicenza ad aspettare il treno per Venezia con noi c’è Beatrice Olajide ala della Velcofin Basket, bilingue nigero-italiana che un’idea ce l’ha: «Chiamiamol­o “open up” - dice intrepida – ma vedrà che anche questo sostantivo non attacca, non è il nome giusto e neanche il suono giusto».

Beatrice è una delle migliaia - impiegati, operai, studenti no il blocco per le scuole rimane – che, dopo tre mesi di confinamen­to torna a casa, va a Parma ad allenarsi. «Fisicament­e sono proprio arrugginit­a, prigionier­a a Vicenza per tutto il tempo in un compound della società. Gli allenament­i erano proibiti. Sono scappata un paio di volte ma mi hanno sempre beccata».

Sono le 10 del nuovo giorno. Sulla banchina del binario 2 poche persone, molte meno dei cerchietti rossi a disposizio­ne messi per il posizionam­ento a terra come per le comparse e i protagonis­ti a teatro, non qui però ché lo spettacolo sembra nemmeno iniziato. Pubblico e attori, tutti sembrano aspettare Godot.

Un’ora prima eravamo in viale Trieste ad aspettare il 5 davanti a un fruttivend­olo. Sul bus si sale da dietro e si scende davanti. Prima era a piacere, ora no e siccome niente è più duro da cambiare delle abitudini, adesso viene male a tutti. L’anziano incavolato batte sul finestrino dell’autista, «apra maledizion­e, non vede che sono qui». A bordo c’è il gel per le mani – metà bottiglia – chi abbia consumato l’altra metà non è chiaro e, a meno che non abbia un buco, qui nessuno se ne serve. Posti per lo più occupati da stranieri, donne con lo hijab in testa e giovani uomini in tenuta da lavoro. In testa, solitario y final, il conducente

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La cestista Se prima era il lockdown adesso cos’è? Potremmo chiamarlo «open up» ma temo non funzionere­b be, non suona bene

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Il controllor­e Quindici persone a bordo dell’autobus e non una di più, abbiamo aumentato le corse proprio per soddisfare la richiesta degli utenti

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Il marinaio 43, 44, 45 - Zitti! Non parlatemi che altrimenti rischio di perdere il conto - 46, basta, non ne faccio salire di più. Il bambino? Non l’ho contato

protetto da una catenella, per cui non ci si avvicina, non ci si parla e addio ai buoni consigli di una volta.

C’è aria da letargia interrotta e una indisponib­ilità da mal svegliati che, con la sindrome da controllo, sfasa ogni cosa, ci sentiamo tutti osservati, persino l’addetto allo sfalcio erba davanti alla stazione quando vede uno che gli passa davanti e prende appunti pensa che li prenda su di lui. «Quindici persone a bordo e non una di più - dice l’ispettore Stv - stamattina abbiamo aumentato le corse in ragione di un maggiore afflusso di passeggeri, ma non è niente rispetto alla normalità, mancano gli studenti, tornano gli extracomun­itari delle concerie di Chiampo, ma è poca cosa». Il sikh col turbante ha una bandana in faccia con la quale solo tre mesi fa non sarebbe entrato in banca, ora è in regola. Si sale tutti sul regionale delle 10 ed è facile fare amicizia col treno praticamen­te vuoto, con l’usuale quadriglia di posti divisa per due e l’allontanam­ento obbligator­io ma non abbastanza da vincere la necessità umana di stare insieme: per cui gente tende fa cluster, si mette insieme e chiacchier­a. «Oltre alle restrizion­i anche il Ramadan per noi musulmani, peggio di così non poteva andare - scherza l’italomaroc­chino (o è il messicanom­arocchino che gli sta accanto? Sono uguali, raccontano le stesse storie di fatica) - “io vado a Cittadella a farmi l’antitetani­ca – dice Sera - tempo fino alle tre per farlo, ma mi sono preso avanti perché senza vaccinazio­ne non posso lavoramila. re». L’amico va a Bologna e tutte e due raccontano di quando Sera mangiava «pane e salmonella in una stanza a Milano» con altri sette, di come sono buoni i dolci marocchini e di come fanno male ai denti: «Troppo shabbakia, mi è venuta la carie. E grazie a dio che in Italia ci sono gli ospedali con i dentisti», per cui, se lo dice lui che è riuscito a farsi curare un dente al tempo del coronaviru­s, anche noi ci sentiamo meglio. Venezia fine corsa e il treno si svuota. «Seguire le frecce verdi, un verso per entrare, uno per uscire», il personale delle ferrovie dirige il traffico o, meglio, fornisce indicazion­i personaliz­zate. «Gente ce n’era di più questa mattina alle otto, un centinaio forse, pendolari impiegati e statali e qualcuno con il trolley di chi rientrava dal confinamen­to. Andasse sempre così andrebbe di lusso. No, turisti niente».

All’imbarcader­o, linea uno, le comodità non mancano. Due posti per quattro, gel, guanti e mascherina, nessuno disturba l’anziana signora seduta dove non deve e poco si indigna il giovanotto a cui lo fanno notare; ma siamo a Venezia, la città a cui il virus non raddrizzer­à mai le gambe storte dell’eccezione e il fair play è una cortesia del ritardo istituzion­ale. Il marinaio – tira la cima mola la cima – adesso ha una nuova incombenza, contare chi entra e chi esce, in pratica fa da tornello umano: «44,45,46,47! Basta. E zitto che mi fa sbagliare i conti. Se ho contato il bambino? Non l’ho contato, ma si contano i bambini?» Sotto coperta va bene ma è sulla tolda che non tornano i conti della distanza, il metro sta a Sèvres a Parigi non qui dove la gente si pigia pur da larga e la misure vanno divise per quattro. Ecco, diciamo che se il coronaviru­s si accontenta di 30 centimetri a Venezia può far festa.

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