Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
SEMPLIFICARE LA VERA LIBERAZIONE
Il premier dopo aver varato il decreto «Rilancio» (464 pagine) ha dichiarato di essere già al lavoro per il decreto «Semplificazione» che si propone di «far correre l’economia con tagli alla burocrazia». Pur con sincera comprensione per una decisione irta di difficoltà, la mente corre al vetraio de «Il monello» di Charlie Chaplin. Della semplificazione si parla da molto tempo e non solo nel pubblico. Mario Greco quando era ad di Generali notava «Le assicurazioni sono una cosa complicata. Il primo che riesce a rendere le cose semplici vince». Lo hanno per ora capito solo alcune assicurazioni on line. Nel 2004 la Philips lanciò il manifesto della semplificazione, istituendo una posizione aziendale responsabile di rendere più semplici i prodotti e i processi interni. Fu chiamato a coprirla un italiano, Andrea Righetti. Anche il governo Berlusconi IV aveva creato un «Ministro per la Semplificazione» (Calderoli) unificato nel 2011 da Monti nel «Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione». Risultati non se ne sono visti e il tema viene oggi riproposto. In fatto di semplificazione, si parla tanto del modello Genova adottato per la ricostruzione del ponte Morandi.
In cosa consiste? Il tempo è entrato negli obiettivi e nei criteri decisionali del soggetto investito dei poteri straordinari e della responsabilità di realizzare il progetto. Progetto nato semplice già nell’idea architettonica di Renzo Piano. Anche nel modello Venezia (Mose, per intenderci) c’era stata l’introduzione della logica dell’intervento straordinario con una concentrazione eccezionale di poteri e di responsabilità ma i risultati non sono stati gli stessi. Forse si è sbagliato nella scelta del consorzio esecutore e della sua composizione. E la variabile tempo non è stata la sola negletta.
Quello che emerge con grande chiarezza da decenni di fallimenti è la cronica incapacità di esecuzione delle decisioni politiche da parte della struttura direzionale pubblica. Solo per spiegare non certo per giustificare, più questa incapacità si manifesta, più aumenta l’ingerenza nell’esecuzione del decisore politico che infarcisce leggi e decreti di dettagli operativi e sempre più spesso si sostituisce alla struttura direzionale, direttamente o attraverso consulenti di fiducia. Il che crea un coacervo di sovrapposizioni e poteri in concorrenza che rendono opaca e inefficiente l’esecuzione.
Nils Brunsson, guru svedese dell’organizzazione aziendale, ha da tempo teorizzato il management dell’ipocrisia che si basa su vari principi tra i quali «assegnare obiettivi irrealizzabili» e «avere sempre in tasca un piano di ristrutturazione». Gli obiettivi irrealizzabili sono il modo con cui il vertice tiene sotto controllo i propri dirigenti che si confronteranno ogni giorno con una inadeguatezza che può essere risolta solo dalla benevolenza del principe. Mentre il piano di ristrutturazione resta comunque un deterrente, una minaccia più che un genuino impegno a cambiare.
Non credo che i nostri governanti, di ieri e di oggi, abbiano mai letto Brunsson («The Organization of Hypocrisy, 1989) anche se potrebbero esserne i testimonial. Non hanno nemmeno letto il libretto di Michel Crozier che già nel 1979 ammoniva fin dal titolo che «non si cambia l’amministrazione per decreto». Questo è il punto. Fare leggi e decreti non significa necessariamente cambiare. Il gene della riforma senza cambiamento sembra essersi stabilmente inserito nel Dna della cultura politica e amministrativa.
Sono quasi quarant’anni che le nostre pubbliche amministrazioni sono sottoposte all’accanimento riformatore attraverso una successione ininterrotta di riforme che non sono mai arrivate alla fase esecutiva. È come se un paziente entrasse e uscisse dalla sala operatoria sostituendo ogni volta chirurgo, diagnosi e tipo d’intervento.
Fa bene il premier in questa situazione estrema a tentare il tutto per tutto per liberarci da un po’ di burocrazia, ma dovrebbe assodare che il cambiamento sostenibile è un processo lungo, difficile che richiede professionalità specifiche, visione, rispetto e per il quale non esistono soluzioni immediate e semplici.
Tanto più se l’obiettivo è la semplificazione.