Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Primi voli e primi rientri dall’estero Lacrime di gioia
VENEZIA Uno dei primi voli arriva a Venezia da Amsterdam. Scendono gli «esuli» bloccati i n me z z o mo n d o d a l lockdown. Da Vancouver a Santo Domingo. E Save annuncia: Treviso chiuso fino a ottobre.
VENEZIA Ore 11 del mattino di ieri: fuori dall’aeroporto Marco Polo di Venezia c’è il deserto. Da poco è atterrato uno dei primissimi voli internazionali dopo la sospirata apertura dei confini italiani, ma nessuno della cinquantina di passeggeri si è imbarcato con la prospettiva di una vacanza. Sulla banchina davanti allo scalo blindato contro il virus, vicino alla corsia dei taxi semivuota, stazionano capannelli di genitori, parenti e amici. Quell’aereo partito da Amsterdam è la scialuppa che ha portato a casa i loro cari: veneti bloccati all’estero, che da mesi aspettavano il momento in cui avrebbero rivisto le proprie famiglie.
Ad agitare le mani verso le porte scorrevoli dell’aeroporto ci sono i genitori di Mauro, che vive e lavora ad Amsterdam. Il primo abbraccio è stato il loro. «Non tornavo da Natale – riflette – prima di oggi era tutto bloccato. All’arrivo ci hanno fatto mettere in fila per poi sottoporci a una doppia misurazione della temperatura». Le porte scorrevoli si spalancano ancora. Esce Silvia, friulana di Palmanova. Arriva da Maastricht, dove studia relazioni internazionali all’università: ci era tornata il giorno prima del lockdown e da febbraio era incatenata lì. «Dovevo completare il corso, ora per fortuna ho finito e mi manca soltanto la tesi», spiega sorridendo. Per Davide, 19 anni di Abano Terme, il volo dai Paesi Bassi a Venezia è stato l’ultimo tratto di un’odissea cominciata a Vancouver 38 ore e quattro scali prima. «Ero partito per un anno sabbatico dopo la maturità, volevo imparare l’inglese», racconta davanti alla madre, commossa dall’abbraccio mancato per tanti mesi. «Non riuscivo a tornare, mi hanno cancellato quattro voli». Poco distante, c’è il papà di Giorgia, di Cordenons. È accigliato perché dopo mezz’ora dall’atterraggio sua figlia ancora non si vede. Lei studia Scienze motorie vicino ad Atlanta, negli Stati Uniti. Non la abbraccia da sei mesi: «È rimasta bloccata e parlare con l’ambasciata non è servito a nulla», puntualizza. Poi indica la corsia dei taxi semivuota: «Qui è un mortorio – aggiunge - se un turista vedesse questo cosa penserebbe?». La risposta arriva dal conducente di un’auto a noleggio, pochi minuti dopo: «Siamo in ginocchio, lo scriva, come tutti quelli che lavorano con il turismo. Nella mia azienda ci sono 18 colleghi in cassa integrazione». Ha in mano un cartello con un nome e un cognome in inglese: assieme a lui un altro paio di persone sono alla ricerca di passeggeri statunitensi. Presumibilmente militari diretti alle basi Nato, come quella di Vicenza. Invece Lucinda, 19 anni del Texas, cerca di arrivare in Sicilia: studia negli States ma i suoi genitori lavorano alla base di Sigonella. Collegamenti aerei non ce n’erano: la ragazza dovrà fare la quarantena e forse saranno mamma e papà a raggiungerla in Veneto a casa di un amico di famiglia. Il suo non è il viaggio più lungo. Da Santo Domingo arriva una signora brasiliana che di mestiere fa la badante. «Ero lì a trovare mia figlia: ora devo trovare un autobus per tornare a casa, a Lignano Sabbiadoro», spiega davanti alla fermata deserta. Un signore si dilegua mentre rimette piede in Veneto dopo mesi in trappola a Singapore: anche lui ci era andato per trovare la figlia. E poi c’è chi ha preso l’aereo per lavoro: una coppia di accademici di Boston viaggia con i figli. Lei si chiama Elena Savoia, originaria di Mirano, ed è vicedirettore del programma per l’addestramento e la ricerca sulle grandi emergenze di sanità pubblica dell’università di Harvard. È qui per uno studio sulla gestione dell’emergenza coronavirus in collaborazione con l’università di Bologna.
Dopo di loro, dall’aeroporto non esce più nessuno. Di turisti, neanche l’ombra. Per Save, la società di gestione del sistema aeroportuale di Venezia e Treviso non è una sorpresa: per il mese di giugno le stime parlano di una flessione del 95% del traffico aereo, che si presume possa risollevarsi parzialmente nei mesi della stagione estiva. Allo scopo di ottimizzare le risorse, da ieri mattina il gruppo ha deciso di chiudere lo scalo di Treviso, concentrando tutti i servizi sul Marco Polo forse fino a ottobre.