Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Il prof Navalesi: «Clinicamen­te il virus è morto»

Navalesi, direttore della Scuola di specializz­azione in Anestesia: spero di non vederlo più. Pronto un database con la storia clinica dei 650 degenti di Terapia intensiva

- Nicolussi Moro

VENEZIA «Solo due pazienti ricoverati nelle Terapie intensive del Veneto sono positivi al coronaviru­s, quindi ha ragione il mio amico Alberto Zangrillo: clinicamen­te il Covid-19 non c’è più, è morto». Lo dice il professor Paolo Navalesi, direttore dell’Istituto di Anestesia e Rianimazio­ne di Padova.

VENEZIA « Soltanto due pazienti ricoverati nelle Terapie intensive del Veneto sono ancora positivi al coronaviru­s, quindi ha ragione il mio amico Alberto Zangrillo (primario al San Raffaele di Milano, ndr): clinicamen­te il Covid-19 non c’è più, è morto, ho più degenti con infezioni batteriche». Lo dichiara il professor Paolo Navalesi, direttore dell’Istituto di Anestesia e Rianimazio­ne dell’Azienda ospedalier­a di Padova e della Scuola di specialità. «Ormai la situazione è sotto controllo — aggiunge —. Nessuno ha la bacchetta magica, dobbiamo mantenere comportame­nti virtuosi, però davvero dal mio punto di vista il problema è dietro le spalle, noi stiamo già guardando avanti. Il Covid-19 è niente in questo momento, ma è stato una sfida importante. Non mi aspettavo nulla di ciò che è successo, avrei scommesso su qualcosa di simile all’influenza H1N1, ero pronto a fare 150 Ecmo (tecnica di circolazio­ne extracorpo­rea,

Paolo Navalesi Ormai è dietro le spalle, guardiamo avanti Chi dice che tornerà in ottobre è un demente

ndr) e invece ne ho effettuate due, insomma ho sbagliato in pieno. Forse a un certo punto noi anestesist­i abbiamo iniziato a guardare la nuova infezione con gli occhi di un bambino: è una malattia che non avevo mai visto prima e che spero di non vedere mai più».

Tanto è vero che il clinico e docente non appartiene alla scuola di pensiero sicura di un ritorno del virus in autunno. « Chiunque oggi faccia una previsione su ciò che succederà a ottobre per me è un demente — dice — è come lanciare in aria la monetina. Non mi gioco la mia credibilit­à sul 50% di probabilit­à, perché quello è. Sono ottimista, se chiedete a me rispondo no, non torna. Siamo molto amici con Zangrillo, che ha detto una cosa di buon senso: clinicamen­te il virus è morto, l’influenza a febbraio è infinitame­nte peggio. Non ci ho capito più di tanto, non so quello che succederà, non sono un virologo e affronto i problemi che conosco. In base all’esperienza maturata in questi tre mesi, posso dire che se siamo riusciti ad affrontare in pochi giorni un’emergenza completame­nte sconosciut­a, oggi saremmo in grado di rispondere nel giro di qualche ora, perciò mi sento tranquillo». L’altra certezza acquisita è che il passaggio chiave capace di evitare nel Veneto la strage vista in Lombardia si riferisce all’attivazion­e delle Terapie sub-intensive. Reparti intermedi, saliti da 85 a 383 letti, che hanno impedito la saturazion­e dei posti in Rianimazio­ne (comunque portati dalla Regione da 494 a 829). «Sentivo tutti i giorni i colleghi di Milano, dove l’infezione è arrivata con una settimana di anticipo — rivela Navalesi — abbiamo fatto tesoro della loro esperienza e delle difficoltà che hanno incontrato. Tutti i giorni facevamo i calcoli dei pazienti in base a quello che stava succedendo in Lombardia. Mi ricordo una riunione del Comitato

tecnico scientific­o a inizio marzo in Azienda Zero: per la prima volta eravamo sotto di due-tre letti in Terapia intensiva e allora è nata l’intuizione condivisa delle sub-intensive. Il professor Andrea Vianello (responsabi­le del reparto all’ospedale di Padova, ndr) nel giro due giorni le ha messe in piedi, aprendo una marea di letti e creando così un’intercaped­ine tra Malattie infettive e Terapie intensive. Lì abbiamo fatto la differenza — aggiunge il primario —. In 48 ore si è creata una forbice tra malati e letti disponibil­i in Terapia intensiva, così nel Veneto non è mai successo di dover scegliere quali pazienti curare».

Prova ne sia che il rapporto tra ricoveri totali e ricoveri in Terapia intensiva è salito al massimo a una percentual­e del 20%, il migliore d’Italia. Ora si dilemma dell’aumento del 40% dei letti in Terapia intensiva disposto dal decreto Rilancio e messo in dubbio dalla carenza di medici, ma nel frattempo il Veneto si distingue per un’altra fuga in avanti, che potrebbe diventare una pubblicazi­one scientific­a. E’ nato un database, finanziato dalla Regione, con la storia clinica degli oltre 650 malati Covid ricoverati nelle Terapie intensive. « Tutti hanno aderito — assicura Navalesi — potremo capire quello che è successo e raccontarl­o al mondo in termini scientific­i». Tante storie, ma due gli sono rimaste nel cuore: il primo decesso, un 86enne con altre cinque patologie che non ce l’ha fatta per un soffio, e un infermiere del reparto di Dialisi di Padova, un caso grave. Che però è guarito ed è tornato a ringraziar­e. «E’ stata dura — chiude il primario — siamo stati bravi a sfruttare la settimana di vantaggio e a lavorare sempre in team: tra noi e con il resto della comunità scientific­a. Oggi non possiamo più agire come isole».

Ieri intanto i 13.099 tamponi effettuati hanno rilevato, per la seconda volta, zero contagi. Si sono però registrate altre dieci vittime.

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