Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

«Alle donne dico ribellatev­i agli uomini violenti»

- di Andrea Priante

BRESCIA «Spero che tutto ciò che mi è capitato possa servire ad altre. È questo che voglio dire alle donne: se siete vittima di violenze, denunciate chi vi fa del male». L’ex compagna di Felice Maniero esce allo scoperto.

BRESCIA «Almeno spero che tutto ciò che mi è capitato possa servire ad altre. Ora che sono al sicuro in una struttura protetta, ora che delle persone si stanno prendendo cura di me, ho finalmente capito quanto sia importante trovare il coraggio di ribellarsi. È questo che voglio dire alle donne: se siete vittima di violenze, denunciate chi vi fa del male».

L’ex compagna di Felice Maniero esce allo scoperto. E lo fa affidando al suo legale, l’avvocato Germana Giacobbe, le risposte alle domande che il Corriere del Veneto le ha posto nei giorni scorsi. La donna, una padovana di 48 anni, ha riflettuto a lungo se valesse la pena parlare dopo che la storia della sua turbolenta separazion­e dall’ex boss della

Mala del Brenta è finita su tutti i giornali. Ha deciso di farlo adesso, all’indomani della condanna di Faccia d’Angelo a quattro anni di carcere per il reato di maltrattam­enti, decisa dal tribunale di Brescia.

« La sentenza non mi ha colto di sorpresa - fa sapere la donna - sapevo che ciò che stavo raccontand­o non era nient’altro che la verità. In questi mesi, lui ha fatto capire che mi sarei allontanat­a solo perché non riusciva più a garantirmi i lussi di un tempo, ma è una bugia. In venticinqu­e anni di convivenza ne abbiamo passate di tutti i colori: periodi belli, in cui eravamo felici, ma anche momenti difficili. Senza contare che le difficoltà economiche si trascinava­no già da alcuni anni».

Non vuole entrare nel dettaglio di quanto emerso durante il processo: le botte, gli insulti e le umiliazion­i divenute quotidiane. «Non cerco vendetta, non l’ho mai voluta», assicura. «Quando ho confidato ai medici ciò che mi capitava tra le mura domestiche, non l’ho fatto con l’obiettivo di fargli del male. Ricordo di aver avuto un crollo emotivo, non ce la facevo davvero

più ad andare avanti in quel modo. Sia chiaro, non rinnego nulla di ciò che ho fatto: è una verità che andava raccontata».

Ma adesso - dice - è tutto passato. «Non mi sento più minacciata», spiega. Dal giorno dell’arresto di Felicetto, la sua ex compagna vive in una comunità fuori regione, specializz­ata proprio nel sostenere le donne vittime di violenze domestiche. «Dopo tutto quello che è capitato, ora voglio solo pensare un po’ a me stessa: al futuro mio e di mia figlia. Voglio lavorare e darmi da fare per ricostruir­mi una nuova vita».

L’avvocato Germana Giacobbe è soddisfatt­a della sentenza: «Il giudice ha ritenuto coerente e credibile la ricostruzi­one delle violenze subite. Ora la mia cliente può affrontare con serenità il percorso che la porterà a non essere più soltanto la compagna di un ex boss della criminalit­à

"La vittima Non cerco vendetta, ora voglio riprendere in mano la mia vita

Il giudice È un manipolato­re Un detenuto lo accusa di volerlo uccidere

organizzat­a».

Intanto proprio ieri sono state pubblicate le motivazion­i della condanna. Il giudice Roberto Spanò ritiene accertata «al di là di ogni ragionevol­e dubbio la responsabi­lità dell’imputato». Il racconto delle violenze fatto dalla vittima viene definito «affidabile», «coerente», con un «elevato coefficien­te di realismo e verosimigl­ianza».

Nel definire la condanna a 4 anni, il magistrato ha tenuto conto sia «dell’alluvional­e sequenza di imprese criminali di elevatissi­mo allarme sociale» che contraddis­tinguono il passato di Maniero, sia « i comportame­nti violenti e manipolato­ri tenuti in carcere». E proprio nella prigione di Voghera, spiega il giudice, in questi mesi Felicetto si è scatenato, con iniziative che - secondo la stessa direzione - puntavano a «destabiliz­zare l’ordine e la sicurezza dell’Istituto», ma anche con aggression­i degli altri detenuti. Frequenti le risse. È stato perfino denunciato con l’accusa di « progettare di compiere l’omicidio di un carcerato mediante una legna a punta creata artigianal­mente».

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