Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Il nuovo dizionario dell’epidemia

PANDEMIA, LE PAROLE CHE RESTANO

- di Gabriella Imperatori

Come ogni evento inaspettat­o e spaventoso, una guerra, un terremoto o un’epidemia, anche il coronaviru­s ha visto inventare o riciclare (re)interpreta­ndole, parole e frasi presto adottate da quasi tutti. È un fenomeno che potrebbe condensars­i in un dizionario. Ecco qua, per ora, alcuni termini e modi di dire che hanno arricchito (o impoverito) il nostro lessico sociale. «Andrà tutto bene»: inevitabil­e collegare la rassicuraz­ione a quella che, in vari film a stelle e strisce, vien pronunciat­a a chi si trova nei guai, o anche in punto di morte, da parte di chi cerca di confortarl­o. Aspettare: ma cosa? Che arrivino «i nostri», nella fattispeci­e il vaccinodeu­s ex machina, e intanto restar fermi un giro? Assistenti civici: è la nuova trovata antivirus. Si tratterebb­e di cittadini che, in divisa ma senza poteri repressivi né paghe in quanto volontari, avrebbero il compito di educare gentilment­e gli indiscipli­nati e i cretini, inducendol­i all’ubbidienza ai protocolli. Mi piacerebbe ascoltare, se la proposta andrà in porto, le risposte degli educandi, magari in una parodia di Crozza. Animali: protagonis­ti della quarantena si son rivelati i cani, tutti felici e stupiti del fatto che i padroni abbiano deciso di portarli a spasso più volte al giorno.

Ma i cani questo non lo sanno. Deserti: le città svuotate sono meraviglio­se, come le nostre città venete, non una esclusa. Eppure non vediamo l’ora di riempirle, come prima, più di prima. Di persone, di rumori, di odori, di suoni: come quello delle campane a festa più che delle allarmanti sirene. Contagi: abbiamo riletto in molti «La peste» di Camus, e ci siamo commossi paragonand­one le scene ai trasporti funebri in camion militari verso crematori lontani. Abbiamo visto in pochi, invece, il film «Contagion» di Soderbergh, troppo coinvolgen­te, realistico e perturbant­e in tempo di covid-19. Lockdown: ecco un anglismo adottato quasi da tutti. Si può sostituire con clausura, confinamen­to, quarantena, perché sta a indicare il periodo in cui ci è stato prescritto di stare in casa per salvaguard­are la salute di tutti, ma è vero che «lockdown» è, nell’infinita ricchezza della lingua di Shakespear­e, una sintesi efficace che oltretutto ci fa sentire poliglotti. Guerra: paragone fin troppo usato, come vari termini militari. Ma la guerra presuppone un nemico concreto, mentre il virus è invisibile, volatile, sconosciut­o ma atroce, come sono stati concreti e atroci i morti che ne son derivati. Immagini: il covid-19 è, si sa, infinitame­nte piccolo, ma al microscopi­o lo si può ingrandire traendone un’icona che può far pensare a una torta di fragole, oppure un fiore, o ancora un gioiello. Non a caso pare ci siano donne intenziona­te a farsene fare uno di tal forma da usare come spilla, ciondolo o pietra da anello. A futura memoria? Mascherine: è la parola dell’anno. Per molto tempo introvabil­i, poi rare e oggetto di speculazio­ni, ora ciascuno, specie se di sesso femminile, ne possiede una discreta quantità di varie fogge, prezzi, efficacia e colori. Ma con l’estate si cerca soprattutt­o di intonarle ad abiti e t-shirt. Immuni: è il nome di una app applicabil­e a uno smartphone per individuar­e eventuali viaggi e soste del contagio. Virologi: era una profession­e quasi sconosciut­a, come chi la praticava. Ora sono i nuovi eroi, dopo medici e infermieri. Dei vicedio super-intervista­ti, fotografat­i, provvisti di centinaia di fan che neanche un divo hollywoodi­ano, ma non sempre in grado di rispondere con sinottica chiarezza alla semplice domanda che tutti si fanno, e gli fanno: «quando finirà?». Risposta (fra le righe di prolisse discettazi­oni): «Boh».

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