Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Il nuovo dizionario dell’epidemia
PANDEMIA, LE PAROLE CHE RESTANO
Come ogni evento inaspettato e spaventoso, una guerra, un terremoto o un’epidemia, anche il coronavirus ha visto inventare o riciclare (re)interpretandole, parole e frasi presto adottate da quasi tutti. È un fenomeno che potrebbe condensarsi in un dizionario. Ecco qua, per ora, alcuni termini e modi di dire che hanno arricchito (o impoverito) il nostro lessico sociale. «Andrà tutto bene»: inevitabile collegare la rassicurazione a quella che, in vari film a stelle e strisce, vien pronunciata a chi si trova nei guai, o anche in punto di morte, da parte di chi cerca di confortarlo. Aspettare: ma cosa? Che arrivino «i nostri», nella fattispecie il vaccinodeus ex machina, e intanto restar fermi un giro? Assistenti civici: è la nuova trovata antivirus. Si tratterebbe di cittadini che, in divisa ma senza poteri repressivi né paghe in quanto volontari, avrebbero il compito di educare gentilmente gli indisciplinati e i cretini, inducendoli all’ubbidienza ai protocolli. Mi piacerebbe ascoltare, se la proposta andrà in porto, le risposte degli educandi, magari in una parodia di Crozza. Animali: protagonisti della quarantena si son rivelati i cani, tutti felici e stupiti del fatto che i padroni abbiano deciso di portarli a spasso più volte al giorno.
Ma i cani questo non lo sanno. Deserti: le città svuotate sono meravigliose, come le nostre città venete, non una esclusa. Eppure non vediamo l’ora di riempirle, come prima, più di prima. Di persone, di rumori, di odori, di suoni: come quello delle campane a festa più che delle allarmanti sirene. Contagi: abbiamo riletto in molti «La peste» di Camus, e ci siamo commossi paragonandone le scene ai trasporti funebri in camion militari verso crematori lontani. Abbiamo visto in pochi, invece, il film «Contagion» di Soderbergh, troppo coinvolgente, realistico e perturbante in tempo di covid-19. Lockdown: ecco un anglismo adottato quasi da tutti. Si può sostituire con clausura, confinamento, quarantena, perché sta a indicare il periodo in cui ci è stato prescritto di stare in casa per salvaguardare la salute di tutti, ma è vero che «lockdown» è, nell’infinita ricchezza della lingua di Shakespeare, una sintesi efficace che oltretutto ci fa sentire poliglotti. Guerra: paragone fin troppo usato, come vari termini militari. Ma la guerra presuppone un nemico concreto, mentre il virus è invisibile, volatile, sconosciuto ma atroce, come sono stati concreti e atroci i morti che ne son derivati. Immagini: il covid-19 è, si sa, infinitamente piccolo, ma al microscopio lo si può ingrandire traendone un’icona che può far pensare a una torta di fragole, oppure un fiore, o ancora un gioiello. Non a caso pare ci siano donne intenzionate a farsene fare uno di tal forma da usare come spilla, ciondolo o pietra da anello. A futura memoria? Mascherine: è la parola dell’anno. Per molto tempo introvabili, poi rare e oggetto di speculazioni, ora ciascuno, specie se di sesso femminile, ne possiede una discreta quantità di varie fogge, prezzi, efficacia e colori. Ma con l’estate si cerca soprattutto di intonarle ad abiti e t-shirt. Immuni: è il nome di una app applicabile a uno smartphone per individuare eventuali viaggi e soste del contagio. Virologi: era una professione quasi sconosciuta, come chi la praticava. Ora sono i nuovi eroi, dopo medici e infermieri. Dei vicedio super-intervistati, fotografati, provvisti di centinaia di fan che neanche un divo hollywoodiano, ma non sempre in grado di rispondere con sinottica chiarezza alla semplice domanda che tutti si fanno, e gli fanno: «quando finirà?». Risposta (fra le righe di prolisse discettazioni): «Boh».