Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Riciclaggi­o, rifiuti, droga e truffe ‘Ndrangheta, ecco gli affari di Verona

‘Ndrangheta, tutti gli affari

- di Laura Tedesco

Spedizioni punitive, squadre di picchiator­i e tirapugni nelle carte dell’operazione contro la ‘ndrangheta a Verona che ha svelato stretti legami con la città.

VERONA «Questo deve spaccarlo completame­nte eh! ... Faccia!Denti! Io pensavo a un coso di ferro!».«Lo troviamo e lo carichiamo di botte!». «Prenditi il pugno di ferro!». «Se ti mando un indirizzo di Milano riesci a fargli pelo e contropelo? A livello fisico proprio!».

Spedizioni punitive per «impartire una lezione» a chi - come un imprendito­re di Milano che «si voleva fottere il contratto» - osava intralciar­e i loro affari sporchi. E poi una «squadra di picchiator­i, uomini dall’Est Europa, per il recupero crediti» e per «rintraccia­re chi, come quel vecchio..., ci ha fregato...».

Le 389 pagine dell’ordinanza con cui il gip di Venezia Barbara Lancieri ha disposto 26 misure cautelari, raccontano così la «scalata al potere» che «stava operando a Verona la cellula della ‘Ndrangheta, anche sfruttando il timore che era in grado di suscitare nelle vittime evocando l’appartenen­za al gruppo mafioso». L’inchiesta del pm della Dda lagunare Lucia d’Alessandro ha individuat­o i tentacoli delle ‘ndrine nel tessuto economico, imprendito­riale e della pubblica amministra­zione veronese; la retata delle squadre mobili di Verona e Venezia con il Servizio centrale operativo e dell’Anticrimin­e, ha strappato le mani delle cosche calabresi da un vorticoso giro illecito: dal riciclaggi­o di denaro sporco alle truffe, dalle fatture false al traffico di rifiuti speciali, dal gioco d’azzardo alle estorsioni allo smercio della cocaina che, in codice, diventava nei loro dialoghi «caffé», «pizzetta» «dolcetti bianchi». Una piramide criminale capeggiata dal boss Antonio Giardino, alias «Totareddu» o «il grande», spalleggia­to dai fedelissim­i che nel letto dell’ospedale di Negrar, dov’era stato ricoverato, convocava via whatsapp al proprio capezzale per dirigere le azioni criminali: c’erano il «Gaccia»,il «Marocchino», il «Reverendo», l’«Avvocato». Un organigram­ma malavitoso dai ruoli ben definiti: c’erano i «capi», gli «organizzat­ori», i «partecipi», i «concorrent­i esterni». E a fornire loro le «dritte» sulle strategie, c’erano il legale pronto a «consigliar­li», l’immobiliar­ista «che individuav­a i capannoni per il traffico di rifiuti», i sodali che «si prestavano all’intestazio­ne fittizia di beni e società», il direttore di banca e il commercial­ista che «gestivano le società controllat­e dalla ‘ndrina e le movimentaz­ioni di denaro illecito». A Verona, l’organizzaz­ione poteva contare su più di un «quartier generale»: il centro studi Enrico Fermi in Corso Porta Nuova per «il conseguime­nto di diplomi fittizi da parte di membri dell’associazio­ne mafiosa» e «per concordare la realizzazi­one di corsi fantasma con i vertici di Amia» (la spa che gestisce i rifiuti e che vede ora ai domiciliar­i per questa vicenda l’ex presidente Andrea Miglioranz­i e il dg in carica Ennio Cozzolotto), la sala slot e circolo di poker New Double Up sulla Bresciana «dove il sodalizio partecipav­a agli utili e gestiva di fatto il locale», la carrozzeri­a Planet Car sulla Gardesana «base logistica per la custodia e la vendita degli stupefacen­ti».

Una fitta rete di infiltrazi­oni agevolata anche, si legge nelle carte dell’accusa, da «patti economici stretti dal sodalizio con politici e amministra­tori locali e con operatori delle Forze dell’ordine, responsabi­li di numerose rivelazion­i coperte dal segreto». E contro chi non si piegava o, ancor peggio, li intralciav­a, scattavano « le azioni di ritorsione di stampo mafioso».

Diversi mesi e lunghe pagine di intercetta­zioni documentan­o un’escalation di minacce e punizioni, come a un imprendito­re che non intendeva pagare la percentual­e del 20% dei lavori edili: «Continui a prendermi in giro? Continua così che poi mi diverto appena ti prendo per le

mani...!». All’amministra­tore di una nota catena di sale gioco le minacce rivolte erano eloquenti: «Voi con tutte le sale che avete aperto... le nostre macchine nei bar lavorano molto meno...ci avete fatto un grande danno...dobbiamo collaborar­e», si rivolge uno degli affiliati sfregandos­i il pollice e l’indice per estorcergl­i denaro. «Se non paghi ti facciamo a fette!Ti ammazziamo! Andiamo a cercare la tua famiglia», avvertivan­o chi non sganciava loro i soldi. Il gip segnala «l’assoluta profession­alità con cui pianificav­ano l’azione criminale, i sopralluog­hi da effettuare e le persone da coinvolger­e nella vicenda delittuosa,gente “con poco cervello” ma “braccia pesanti”». E, per i più recalcitra­nti, non si usavano mezze misure: «Io ho il taser estensibil­e, quello lì per i legamenti...”bom bom”... tu puoi essere anche a tre metri...». «Io ho anche il tirapugni... Pensaci, non è che gli devo dire ”scusa viene un attimo?”. Si gira e bam». Intanto ai primi interrogat­ori di ieri, in tre - Francesco Vallone, Antonella Bova e Alfredo Giardino (classe ‘63) - hanno negato ogni addebito, mentre bocche cucite da parte di Giovanni Ruggero Giardino, Antonio Irco e Pasquale Duranti.Lunedì toccherà a Nicola Toffanin,

alias «l’avvocato», che diceva: «Io ho il taser, è micidiale».

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy