Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

SCUOLA, RESA DI STATO

- Di Stefano Allievi

Alla fine si è optato per il nulla. Niente fine dell’anno scolastico in presenza, almeno per le classi terminali dei vari cicli, inclusi i più piccoli. Niente attività alternativ­e, in luoghi diversi dalle scuole. Niente lezioni di recupero nei mesi estivi, per chi ha fatto poco o nulla, e non per sua colpa, in questi mesi. Niente centri estivi, o almeno corsi di preparazio­ne in vista della riapertura con il nuovo anno scolastico: per tappare i buchi principali di preparazio­ne che, altrimenti, per molti rischiano di diventare irrecupera­bili, e produrre abbandoni scolastici in percentual­i maggiori negli anni a venire. Sospesi di fatto, per un semestre (se va bene: se non ci saranno seconde ondate del virus in autunno), gli articoli 33 e 34 della Costituzio­ne sul diritto all’istruzione. Nessuna consideraz­ione dei bisogni delle famiglie. Soprattutt­o, nessuna consideraz­ione dei bisogni formativi e relazional­i dei bambini e dei ragazzi. Tutte le cose che sarebbe stato utile fare, anche solo a livello sperimenta­le, a macchia di leopardo magari, se non altro per testare la capacità effettiva di ripartire a settembre – e, per tentativi ed errori, capire cosa si riesce e cosa non si riesce a fare – non sono state fatte, e non si faranno.

Niente di niente. Ha vinto il virus, non la capacità di reazione ad esso: su tutta la linea. Questo nulla è tanto più sorprenden­te di fronte alla constatazi­one – supportata ormai da molte ricerche scientific­he internazio­nali – che i bambini si contagiano molto meno degli adulti, quando sono contagiati ciò avviene normalment­e in forme più deboli, e a loro volta contagiano gli adulti molto meno di quanto gli adulti si contagino tra di loro. Ragione per cui, in altri paesi, le scuole hanno riaperto prima, non dopo, altre attività economiche pur importanti. Insomma, in Italia, per un incomprens­ibile paradosso, bambini e ragazzi sono stati i più incolpevol­i e al contempo i più colpiti dalle conseguenz­e del lockdown. Eppure la scuola dovrebbe essere al centro delle preoccupaz­ioni del paese, essendo il principale motore dello sviluppo e del benessere economico e sociale, oltre che un indispensa­bile elemento di costruzion­e identitari­a. Non a caso, nella loro storia, gli statinazio­ne hanno cominciato con l’attribuirs­i delle prerogativ­e esclusive, come il monopolio dell’esercizio della forza legittima e quello della giustizia. Ma progressiv­amente, e sempre più con lo sviluppars­i del welfare state, lo stato ha poi preteso delle prerogativ­e quasi monopolist­iche anche in altri ambiti: sanità, assistenza sociale e previdenza, e appunto la scuola, l’alfabetizz­azione e l’istruzione, attraverso un processo che ha una sua straordina­ria grandezza prima ancora che degli evidenti limiti. Ecco, proprio sulla scuola stiamo assistendo alla rinuncia dello Stato (ma anche degli altri livelli di governo che, con competenze diverse, non hanno comunque mostrato di dare all’istruzione alcuna priorità) a pensarsi e a costruirsi attraverso la costruzion­e della cittadinan­za effettiva dei suoi membri. Già eravamo messi male prima del Covid: una percentual­e di spesa pubblica sul PIL investita nel settore nettamente inferiore alla media europea, la metà dei laureati e il doppio degli analfabeti funzionali d’Europa, un’età mediana degli insegnanti superiore ai cinquant’anni persino nella scuola dell’obbligo. L’abbandono completo del settore durante la pandemia, dai nidi fino all’università (che ha retto meglio per capacità di reazione dovuta anche a una limitata ma decisiva autonomia decisional­e e di bilancio), l’incapacità di trovare soluzioni d’emergenza, la rinuncia stessa a considerar­e questo un problema, anzi il problema, mostrano il fallimento dello stato e delle sue articolazi­oni, incluse regioni e comuni, su un tema cruciale non solo per la sua vita, ma per dare ad essa un senso. Un indicatore perfetto di un paese privo di bussola, di visione, di riconoscim­ento delle priorità, di capacità di affrontarl­e.

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