Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Residenze per anziani la riforma tenga conto del ruolo sociale

- Di Ivan Bernini*

Il recente intervento di Luca Romano su queste pagine ha posto questioni fondamenta­li che auspichiam­o incoraggin­o un dibattito ampio in grado di affrontare il tema della riforma. Serve la volontà e la capacità di affrontare non solo la riforma delle Ipab, che sono solo una parte dell’insieme delle strutture che compongono il panorama delle «residenze per anziani» nella nostra regione, ma pensiamo, più in generale, dell’intero settore.

Pensiamo che il grande limite che ha accompagna­to la discussion­e sulla riforma, dalla Legge 328 Turco in poi, sia stato quello di concentrar­e ampia parte della discussion­e «“sull’architettu­ra istituzion­ale» e sulla forma giuridica di queste strutture, che per quanto ci riguarda non è secondaria, ma è mancata l’ambizione di costruire un progetto di ampio respiro in grado di coniugare scenari demografic­i, capacità di risposta non solo monetaria alle crescenti fragilità, mantenimen­to della caratteriz­zazione sociale nel forte legame con le comunità locali.

Quello delle strutture residenzia­li per anziani, è un mondo policromo segnato da origini e esperienze diverse. Non è un caso che proprio laddove traggono origine e sviluppo dalle prime esperienze locali municipali, mutualisti­che, religiose abbiamo la rappresent­azione di un carattere marcatamen­te sociale, forte di legame solidarist­ico e capace di sviluppare esperienze che non si limitano «al ricovero» dell’anziano. Non solo strutture di accoglimen­to ma punti di riferiment­o che si aprono all’intera comunità. Esperienze molto diverse da altre strutture che traggono origine dalla riconversi­one dei presidi ospedalier­i «razionaliz­zati» nel secolo scorso e che hanno assunto un carattere molto sanitario; erano ospedali prima, in parte sono rimasti tali. Supplendo all’assistenza e cura che prima della riduzione dei posti letto veniva fornita dalle strutture ospedalier­e ma con meno risorse per poterlo fare. Una situazione nella quale, condividia­mo con il dr. Romano, si stanno prepotente­mente affacciand­o multinazio­nali e privato for profit che fiutano «il business» dell’anziano acuendo le disuguagli­anze in termini di accesso ai servizi, si sviluppano competizio­ni tra enti pubblici e privati in relazione alle dimensioni ed alla differenza di condizioni fiscali ed assistenzi­ali, si genera una jungla contrattua­le «al ribasso» che genera anche disuguagli­anze nei rapporti di lavoro. Si rompe ogni legame di solidariet­à, di comunità, di forte legame sociale che stava alle fondamenta di queste realtà.

Per queste ragioni riteniamo importante riprendere «filo della matassa» di una riforma che deve guardare all’intero settore e non solo alle Ipab. Fondamenta­li le risorse sul fondo per la non autosuffic­ienza, la definizion­e concreta dei livelli essenziali delle prestazion­i sociali per rendere universale il concetto che la salute è un diritto più ampio del concetto di sanità, la concretizz­azione di un contratto di lavoro di settore che non lasci spazi alla riduzione dei diritti e dei salari di chi lavora. Una ripresa di un dibattito che porti, però, a definirci chiarament­e che progetto abbiamo in testa: se vogliamo ulteriorme­nte sanitarizz­are questi settori, vanificand­o storia e funzioni di queste realtà, o se vogliamo costruire le condizioni per affermarne il loro carattere sociale, patrimonio delle comunità locali ed erogatore di funzioni pubbliche universali. *Segretario generale FP

CGIL Veneto

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