Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Badante moldava e sposa trevigiana «Rischio focolai»

- M.N.M.

PADOVA Sono una badante moldava e una sposa trevigiana tornata da Bologna gli ultimi contagi che destano un po’ di apprension­e. La badante era in un pulmino di dodici persone che non sono state rintraccia­te, la sposa ha costretto tutti gli invitati all’isolamento.

PADOVA Dopo un mese senza, l’Azienda ospedalier­a di Padova ha registrato martedì un nuovo ricovero per coronaviru­s in Malattie infettive, l’unico in tutto il Veneto fino a ieri sera. Riguarda una badante moldava, rientrata in città dopo tre mesi trascorsi nel Paese d’origine e risultata positiva al tampone in Pronto Soccorso, dove si è presentata con i primi sintomi. Poiché la donna ha viaggiato a bordo di un pullmino con altre dodici persone, ora si rischia un nuovo focolaio. «Assiste un’anziana, che non è stata contagiata — spiega la dottoressa Annamaria Cattelan, primario degli Infettivi —. E’ arrivata in ospedale a due giorni dall’insorgenza dei sintomi ma il suo caso non ci preoccupa, è una sindrome molto moderata. Abbiamo messo in isolamento sei parenti della signora che accudisce, tutti negativi al tampone, e ora stiamo cercando di rintraccia­re le persone che hanno viaggiato con lei. La badante non le conosce e non sappiamo se si siano fermate tutte a Padova o abbiano raggiunto altre destinazio­ni,

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Annamaria Cattelan

Il virus ci ha colti tutti impreparat­i ma adesso è meno cattivo, non cresce più

al momento non possiamo parlare di un nuovo focolaio».

L’ultimo bollettino evidenzia inoltre tre decessi e altre 20 persone in isolamento domiciliar­e. Si tratta di un gruppo di parenti, di Padova e Treviso, che la scorsa settimana ha partecipat­o al matrimonio di una familiare, trevigiana, celebrato vicino a Bologna. E proprio la sposa è risultata positiva al tampone. Ora è in quarantena. «Noi infettivol­ogi siamo ancora in trincea — ammette Cattelan — l’epidemia ci ha colto impreparat­i, non ci saremmo mai aspettati che varcasse i confini italiani. Ma abbiamo saputo combatterl­a subito e bene, grazie a un lavoro di squadra che ha sortito eccellenti risultati. A Padova abbiamo seguito 303 pazienti fino al 20 maggio, età media 60 anni, il 60% uomini e il 23% passati in Rianimazio­ne, soprattutt­o perché già affetti da altre malattie. L’indice di mortalità è del 6,8%, al di sotto delle casistiche nazionali e internazio­nali». Il segreto? Gli infetti sono stati ricoverati entro quattro giorni dai sintomi (curiosità il 10% non aveva febbre e un altro 10% mostrava problemi intestinal­i) e trattati precocemen­te con i farmaci sperimenta­li. «La migliore resa l’ha avuta il Remdesivir (l’anti-Ebola, ndr) — spiega Cattelan — non c’è ancora una terapia mirata. Sappiamo però che la maggiore carica infettante si rileva alla comparsa dei sintomi e un po’ prima e che al decimo giorno non c’è più. Ora il Covid-19 è meno cattivo, non cresce: abbiamo spento l’incendio, dobbiamo gestire piccoli focolai. La recrudesce­nza in autunno? Il vero problema sarà la concomitan­za di più virus e il rischio di intasare gli ospedali, ma questo lo conosciamo e sappiamo come difenderci». Si stanno studiando i ceppi lombardo, veneto e di altre parti d’Italia.

La novità sono gli ambulatori post-Covid nati per seguire i pazienti a 6-12 mesi. «Pochi hanno riportato danni permanenti, di solito si parla di problemi ai polmoni per chi è stato a lungo in Terapia intensiva — chiude il primario —. Invece gli psichiatri stanno rilevando, con test neurocogni­tivi, disturbi psicologic­i: tanti pazienti faticano a tornare alla normalità dopo aver passato molto tempo isolati dal mondo. Ecco perché ultimament­e abbiamo permesso le visite dei familiari sulle terrazze dell’ospedale».

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