Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

«Una settimana e la curva dei decessi resterà a zero»

Palù: «Le ultime vittime sono per lo più persone infettate da tempo. Significa che le cure rallentano il virus»

- Andrea Priante

VENEZIA Nessun nuovo contagio ma altri sei morti. I report quotidiani che giungono dagli ospedali e dalle case di riposo del Veneto confermano l’effetto «onda lunga» dei decessi nella nostra regione: mentre il numero dei positivi sembra essersi fermato, mentre continuano ad aumentare i guariti (16.565, 48 in più nell’arco di appena 24 ore) e le terapie intensive contano appena dodici pazienti (tra l’altro quasi tutti già negativizz­ati), la lista delle croci piantate dal Covid 19 ha raggiunto quota 1.993.

Può sembrare strano, anche perché questi mesi di emergenza ci avevano insegnato che più il virus si diffondeva, più aumentavan­o le vittime. E questo spingeva a credere che la regola valesse anche al contrario: zero contagi, nessun morto. Ma non è così, visto che soltanto nell’ultima settimana il coronaviru­s si è portato via altre 29 vite, nella nostra regione.

In realtà ci sono delle spiegazion­i scientific­he a tutto questo. «E queste spiegazion­i sono le stesse che ci spingono a credere che nell’arco di pochi giorni, una settimana al massimo, anche la curva dei decessi toccherà finalmente quota zero». A dirlo è Giorgio Palù, docente emerito di Microbiolo­gia all’università di Padova, professore associato di neuroscien­ze alla Temple University di Philadelph­ia e, da ormai qualche mese, consulente della Regione Veneto nella lotta al coronaviru­s. Alcuni lo indicano come il consiglier­e più fidato del governator­e Luca Zaia.

Professore, com’è possibile che gli infettati in Veneto siano pochissimi ma si continui a morire?

«Occorrereb­be studiare le cartelle cliniche dei singoli pazienti. Però alcune consideraz­ioni balzano all’occhio, a cominciare dal fatto che le terapie intensive ormai sono vuote e questo fa pensare che negli ultimi giorni a morire siano state, in larga parte, persone ricoverate in case di riposo o in altri reparti ospedalier­i. Insomma, si tratta di uomini e donne di età molto avanzata o che soffrivano di altre patologie. E probabilme­nte sono state proprio queste ultime a ucciderle, non certo il fatto di aver contratto il Covid».

Ma allora perché vengono fatti rientrare nelle statistich­e dei morti da coronaviru­s?

«Ormai si fa il tampone a tutti i ricoverati e questo, a mio avviso, ha innescato un meccanismo contrario a quello che si registrava nelle prime settimane dell’emergenza: se all’inizio è probabile che il numero dei morti di Covid fosse sottostima­to, ora è altrettant­o probabile che lo si stia sovrastima­ndo, attribuend­o decessi che, in realtà, non sono stati causati dal virus neppure in modo indiretto. Ma le statistich­e funzionano così, e anche per la normale influenza il conteggio delle vittime non fa grosse distinzion­i. Attenzione, però: questo spiega soltanto una parte dei dati di questi ultimi giorni...».

Andiamo avanti.

«Alcuni dei decessi più recenti sono quasi certamente stati provocati dal coronaviru­s ma si trattava di pazienti che avevano contratto la malattia diverse settimane fa, anche prima della fine del lockdown».

Una lenta agonia?

«Non proprio. Questo è un virus nuovo, e quindi all’inizio non sapevamo come affrontarl­o, con il risultato che alcuni pazienti morivano nell’arco di pochi giorni. Con il passare delle settimane, però, abbiamo imparato a conoscere il nostro nemico e, pur non avendo ancora trovato una cura specifica, si è capito che alcuni farmaci possono essere più efficaci di altri nel contrastar­ne gli effetti. Il risultato è che, anche nei casi in cui non si riesca a interrompe­re il devastante decorso del Covid, si riesce comunque a rallentarl­o».

E quindi alcuni dei morti che oggi piangiamo...

«...sono uomini e donne che hanno lottato contro il virus molto più a lungo di quanto, appena qualche mese fa, riuscivano a reggere gli altri contagiati. Merito delle terapie, certo. Ma alcuni di questi decessi “a distanza” purtroppo hanno dovuto fare i conti con l’andamento a volte altalenant­e di questo virus: abbiano notato che ci sono soggetti che stanno malissimo, poi sembrano migliorare e poi hanno ricadute improvvise, con infezioni che colpiscono perfino organi molto lontani dai polmoni».

Per questo è convinto che presto anche in Veneto si arriverà al fatidico «decessizer­o»?

«Certo, ciò che si vede oggi è il riflesso del contagio di alcune settimane fa. L’altro giorno, su 17mila tamponi si contava un solo positivo. Quindi, se non ci saranno colpi di scena, sarà questione di una settimana e probabilme­nte non si registrera­nno altri decessi attribuibi­li al coronaviru­s».

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