Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Il dopo Covid e i due Cibic: «Ripensare la nostra vita»
Aldo: progettare comunità diverse Matteo: uffici a casa e nei condomìni
Ci vuole raccontare un suo luogo del cuore in città? «È una scoperta recentissima. La Busa de Giaretta, ovvero il lago di Camazzole, un bellissimo lago artificiale a venti minuti da casa. Ci sono capitato l’altra sera: dopo la tempesta il cielo si è aperto, e sembrava di essere a Vancouver Island: natura, natura! Ho scoperto che da lì parte una pista ciclabile che costeggia il Brenta, e che sarà una delle mie prossime destinazioni. Perché il virus ci ha insegnato a guardare con occhi diversi, ed amare, il verde in città e subito fuori: anche questo è il “turismo di prossimità”».
Già, il verde. Se la pandemia ha decretato, nell’abitare, la fine della cabina armadio e del loft (perché abbiamo bisogno di spazi privati e porte da chiudere), la rivalutazione dell’ingresso (in cui potersi togliere le scarpe e gli abiti, su ispirazione giapponese), la vera scoperta è stata la fame di luce naturale e di verde.
Un giardino, una terrazza, magari anche solo un balcone. In città è difficile, vero, ma potremmo far nostra la proposta di Alan Maskin, dello studio di architettura Olson Kundig di Seattle:
«Saliamo sui tetti. Uno “strato urbano” per ora sottoutilizzato: i “rooftops”. Che potrebbero invece diventare orti e giardini, pubblici e interconnessi da un sistema di ponti. Anche per un’agricoltura davvero sostenibile, a chilometro zero».
Verde dunque, dentro e fuori… Le città del futuro saranno davvero più green? L’abbiamo chiesto ad Aldo Cibic, che con Sottsass è stato tra i fondatori, nel 1980, del mitico gruppo Memphis. «Più che al verde, quello su cui la pandemia ci ha fatto riflettere è la densità: e l’angoscia per l’affollamento ce la porteremo dentro ancora per un po’», riflette. «Ripetiamo da anni che entro il 2050 il 75% della popolazione mondiale vivrà nelle megalopoli: forse è il caso di ripensare questo paradigma. E progettare comunità diverse. E sì, lo dico proprio io, che fino all’inizio della pandemia vivevo tra Shanghai e Milano, passando per Vicenza. Ora, casomai, penso all’altopiano di Asiago: ossigeno e biodiversità incredibile, a soli 50 minuti dal centro di Vicenza e da un treno veloce».
Addio Shanghai, benvenuta montagna di Asiago? Ride: «In Cina tornerò, ovviamente, anche perché insegno alla Tongji University e perché, insieme al preside, Lou Yongqi, stiamo lavorando a un progetto in cui credo molto. Si chiama Design Harvest 2.0, ed è una “community of purpose” a 45 minuti dal centro di Shanghai.
Sono temi su cui Aldo Cibic sta riflettendo da tempo, tanto che ha presentato alla Biennale di Venezia del 2010, diretta dall’archistar Kazuyo Sejima, il suo Rethinking
Happiness. Un titolo che è una speranza: ripensare la felicità è diventato poi un libro, per Corraini Editori, con quattro esempi progettuali che affrontano il tema delle nuove comunità possibili. Sono passati dieci anni, e
la Biennale Architettura
di quest’estate, spostata al 2021 causa Covid, ha un titolo davvero adatto a questo momento storico: «How will we live together»?, come vivremo assieme. Sì alla sperimentazione, dunque. Ci piace la nuova comunità digitale e rurale che, chissà, magari si potrà importare anche ad Asiago, e in tutta Italia!