Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
La penultima magia Torna in libreria Tiziano Scarpa
Il nuovo romanzo (Einaudi) di Tiziano Scarpa mescola surrealismo e sentimenti Una nonna tenta di rimanere con la nipote fra avventure in stile Palazzeschi e Rodari
Due lampioni, uno giallo e uno azzurro, camminano nella notte chiacchierando. Controllano se i cassonetti stano digerendo bene e riordinano le insegne perché, russando, cambiano involontariamente l’ordine delle parole (con il rischio che «Enoteca» annunci invece «Acetone»). Comincia come una favola la nuova opera di Tiziano Scarpa, La penultima magia (Einaudi, pp. 220, Euro 16). Ecco la città di Solinga, dove vive Fata Renata, di millantaquattro anni, signora assoluta e tenera di tutti quegli oggetti animati. A un certo punto, però, un esercito nemico muove alle porte della città. Fata Renata, in sella a una motocicletta, si lancia all’attacco e così si scopre che a insidiare Solinga sono gli esseri umani guidati dal Sindaco, Pierfilippo Ginotti detto Pierpippo. La battaglia infuria finché, dalle truppe degli umani, sbuca una bambina. Si chiama Agata, guarda Fata Renata e le chiede: «Nonna perché non vuoi stare con noi?». Leggere la frase è come cadere in acqua all’improvviso; no, non si sta leggendo solo una favola, ma anche una storia dolorosissima. Renata è nonna di Agata, rimasta orfana. Renata è malata, non è lucida, è vecchia, non è forse nemmeno adatta a tenere Agata, eppure è tutto ciò che vuole.
Quel mondo di fantasia fatto di cassonetti ingordi è la sua pazzia, ma è anche quello che le serve per un equilibrio, per evitare alla bambina di stare in orfanotrofio, in una lotta continua (e difficile da spiegare alla nipote), tra chi vuole lasciarle Agata e chi vuole portargliela via. È un graffio straordinario, quello di Scarpa. Ma è tutto il libro a mantenere quella grazia. Non c’è niente di patetico; qui c’è la verità della vita, del dolore vero, che non ha tempo per il lamento. Qui c’è una nonna che deve crescere la nipote. E alloè ra il libro è leggero, divertente, avventuroso, commosso. È strepitosamente italiano, con echi di Palazzeschi e Rodari, qualcosa di Virzì e Benigni, e il paese di Solinga riusciamo a vederlo subito senza esserci stati, perché siamo capitati per caso, in macchina, in centinaia di paesi così, per fortuna senza venire aggrediti dai lampioni.
Agata va in cerca di una sorella che la nonna non ricorda, ma che la nonna decide di inseguire con lei. O forse non così: è solo la nonna che si inventa tutto, che sta scappando perché nessuno le tolga la bambina? Sia come sia, comincia così la scalata al monte Macigno, una ricerca tra la quête di Ariosto e le indagini di Clouseau («Come facciamo a trovarla?», «Saliamo su tutti gli autobus»), tra cadute di massi e cunicoli da percorrere a quattro zampe, in compagnia del Gatto Misfatto, con una mappa trovata presso un tale Oreste Polveroni, mentre compaiono i Riparatori
(una società segreta che ripara oggetti) e una inusuale sirena in alta quota.
Nella seconda parte del libro irrompono riflessioni (non fanatiche) sul tema dell’ambiente, che in qualche modo dilatano ancora di più la superficie del libro; ci si accorge così che la storia della cura di nonna Renata è ogni storia della cura degli esseri umani per la vita.
A due anni da Il cipiglio del gufo e a quattro da Il brevetto del Geco, Tiziano Scarpa torna con un’opera inaspettata. Che resta nel solco della sua scrittura, specie di quella più poetica, da Groppi d’amore nella Scuraglia a Le cose fondamentali a Le nuvole e i soldi. Ma sotto ai giochi di parole («il barista ha una barba abbarbicata ai bargigli»), le descrizioni sempre materiche («la città si muoveva come una marmellata grumosa»), le frasi fulminee («forse ha bisogno di sentire la mancanza di qualcuno»), i nomi già buffi a leggerli (il ragionier Zinchi) e a tutte le più certe qualità di Scarpa l’autore veneziano mette la sua immaginazione, torrenziale e divertita, magica e arguta, al servizio della dolcezza. E racconta così le cose più preziose e delicate che l’umanità abbia; l’infanzia e la fantasia. Che in fondo, forse, sono la stessa cosa.