Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
NORDEST, CRESCITA OLTRE IL PIL
Anno da segnare il 2020: caduta del prodotto interno lordo di almeno il 7,0 per cento in Veneto, Alto Adige, Emilia Romagna. Intorno al 10% nel Trentino. Tra le città metropolitane, Venezia accuserebbe una caduta del fatturato intorno all’11,6%, per Bologna l’ 9,7%. Locomotiva, insieme alla Lombardia, del treno Italia, il Nordest dovrebbero mostrare percorsi inediti per la ripresa economica. Se il coronavirus ha riportato in auge la natura matrigna di cui poetava Leopardi, il mefistofelico patrigno ha nome Pil. La forza dell’abitudine lo ha reso tale. Essa, avvertiva Michel de Montaigne, è «una maestra violenta e infida». Come egli racconta, «portando tra le braccia un vitello fin dall’ora della sua nascita, e continuando sempre a farlo per abitudine, si finirà con l’avere tra le braccia un grosso bue». Rimbalzando quest’ammonimento sul terreno dell’economia, ci accorgiamo che il Pil, «vitello» negli anni Trenta del Novecento, è da tempo un «toro» che assume una postura furiosa e tirannica. Con il segno «+» accanto alla somma delle operazioni di mercato che formano il Pil, si resta saldi in piedi. Altrimenti, col segno «-», è la società oltre all’economia ad entrare in fibrillazione.
Il valore di quei segni dipende dall’impegno delle forze produttive, identificate con la terra, il lavoro e il capitale. Il Pil è un artificio progettato dall’Homo Faber che ha preteso di essere il signore della natura. Con la comparsa e lo sviluppo delle reti di comunicazione, un suo fratello, l’Homo communicator, ha pensato che operando nel cyberspazio per l’unificazione tra le forze degli atomi (le macchine) e le forze dei bit (le informazioni) fosse possibile accelerare il processo di sottomissione della natura al volere umano. Alla luce dei cambiamenti climatici e degli eventi epidemici e di altre crisi ecologiche, la natura appare dotata di propria soggettività e intelligenza, come riteneva Tito Lucrezio Caro. Essa non è un oggetto da conquistare e dominare. COVID-19 ha mostrato l’umanità in uno stato di adolescenza, alla soglia di qualcosa di imprevedibile. Non ci troviamo di fronte a un diverso punto di vista. Siamo testimoni e protagonisti della nascita di un nuovo universo. È, allora, tempo che i responsabili politici e il ceto imprenditoriale attuino interventi per la crescita che vadano oltre il Pil. La sua posizione preminente è immeritata, afferma il premio Nobel per l’economia Angus Deaton, se il PIL è «interpretato come una misura di quanto l’economia sia al servizio della sua popolazione». Altri corpi – gli indici di felicità (Gross National Happiness), sviluppo umano (Human Development Index) e progresso (Genuine Progress Indicator), e i dati sulla povertà – girano intorno al «Pianeta Pil». La forza gravitazionale tra tutti questi corpi è oggetto di un acceso dibattito. Secondo Deaton si può riformare la contabilità del Pil, «escludendo molte delle cose che non migliorano il benessere umano e affinando i dati sulla distribuzione tra i diversi gruppi del reddito personale disponibile». Inoltre, c’è da valutare con estrema cura il contributo di asset quali la ricerca e sviluppo, la capacità innovativa, il software, il capitale umano, le relazioni sociali, i valori culturali, la benevolenza. Questi valori immateriali aumentano la produttività e stimolano l’innovazione. Nella mappa europea dei distretti industriali disegnata dalla McKinsey, le aree distrettuali del Nordest sono inserite tra le «economie stabili» che con un deciso e costante investimento nell’immateriale potrebbero portarsi al rango di hub (centri) la cui crescita è dinamica. Inoltre, investendo in istruzione e cultura ci lasceremmo alle spalle la bassa graduatoria per incidenza di laureati nella popolazione tra i 25 e i 64 anni di età. Con un tale cambio culturale la ripresa dell’economia, scavalcando la siepe del PIL, avverrebbe nel segno della qualità.