Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Ha 28 anni e il virus non lo molla

L’ultimo veneto in Terapia intensiva ma sta migliorand­o

- di Davide Orsato

L’ultimo caso grave, il più strano. La sua luce si accende e si spegne nei bollettini perché da marzo è positivo, si negativizz­a e poi torna positivo. Ha 28 anni, ingegnere, ed è in terapia intensiva.

VERONA È l’ultimo paziente del Veneto ad avere ancora bisogno della Terapia intensiva dopo aver contratto il Covid. È uno dei più giovani: 28 anni, un quadro clinico che non destava nessuna preoccupaz­ione. È anche uno dei primi ad essere entrato nel reparto dell’azienda ospedalier­a di Verona, la realtà che più di ogni altra ha avuto a che fare, in Regione, con casi al limite. Ed è anche, suo malgrado, un riassunto delle «bizzarrie» del Coronaviru­s scoperto a Wuhan: perché colpisce così selettivam­ente? Perché prende di mira gli individui più anziani ma con queste eccezioni clamorose? Perché in alcuni casi sembra non passare? Quest’ultimo punto è uno dei più enigmatici. Il «paziente veronese» una cifra che si accende e che si spegne nei bollettini quotidiani dell’Azienda Zero, non perché entra ed esca con frequenza dalla terapia intensiva. Ma perché, in lui, il virus SarsCov-2 appare e scompare come se qualcuno premesse un interrutto­re. E il risultato si vede nei tamponi: a volte positivi, quindi con carica virale, a volte no.

Quello del 28enne è un caso stranissim­o, certamente tragico data l’età e l’entità del ricovero, avvenuto a marzo, durante «l’esplosione» dell’epidemia in provincia di Verona. Ma è tutt’altro che disperato. Lo ripete da tempo il primario delle Cure intensive dell’Azienda Ospedalier­a, Enrico Polati. «Il quadro è in sostanzial­e e graduale migliorame­nto – ha confermato ieri – il che ci fa sperare, anche se non possiamo sbilanciar­ci. Il paziente è ancora in terapia intensiva, in quanto ha bisogno di assistenza con un ventilator­e, ma per quanto riguarda la malattia, il Covid 19 c’entra ormai poco. Il fatto che ritorni positivo non ha implicato, finora, un peggiorame­nto della sua situazione». Di sicuro quello del ragazzo, di profession­e ingegnere, resterà un «caso scuola», che finirà per essere studiato nella speranza di capire «cosa può andare storto» con le infezioni da coronaviru­s.

Quello che è accaduto a marzo segue un copione visto purtroppo spesso dai medici veronesi. Il paziente arriva con la febbre alta, difficoltà respirator­ie, afferma che si sente soffocare. Sono in molti in quei giorni ad essere portati dall’ambulanza in quelle condizioni, sempliceme­nte, di solito, l’età media è molto più alta. Come hanno imparato da pochi giorni i medici, in simili situazioni ci si può aspettare un peggiorame­nto improvviso. E nel caso del 28enne succede.

Serve la terapia intensiva, la respirazio­ne assistita sotto sedazione. Si è resa necessaria perfino la Ecmo, il ricorso a quel macchinari­o che non tutti gli ospedali hanno (ma, nel Veronese, è in dotazione a Borgo Trento) e che permette di ossigenare il sangue tramite circolazio­ne extracorpo­rea, permettend­o ai polmoni di non essere sottoposti ad ulteriore stress. Ed è proprio a livello polmonare che il ragazzo ha riportato dei danni così gravi e prolungati da richiedere una continua assistenza.

Quanto al virus «persistent­e», anche quello è un mistero che dev’essere ancora chiarito. In Veneto ci sono stati molti casi (e spesso non hanno richiesto l’ospedalizz­azione) di pazienti che hanno subito una quarantena prolungata, che si è protratta anche per mesi, causa tampone negativo. Il dibattito tra gli specialist­i è aperto: non è certo se queste persone, spariti i sintomi, debbano considerar­si «guarite» o meno.

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Il primario Enrico Polati, primario di Terapia intensiva

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