Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Ha 28 anni e il virus non lo molla
L’ultimo veneto in Terapia intensiva ma sta migliorando
L’ultimo caso grave, il più strano. La sua luce si accende e si spegne nei bollettini perché da marzo è positivo, si negativizza e poi torna positivo. Ha 28 anni, ingegnere, ed è in terapia intensiva.
VERONA È l’ultimo paziente del Veneto ad avere ancora bisogno della Terapia intensiva dopo aver contratto il Covid. È uno dei più giovani: 28 anni, un quadro clinico che non destava nessuna preoccupazione. È anche uno dei primi ad essere entrato nel reparto dell’azienda ospedaliera di Verona, la realtà che più di ogni altra ha avuto a che fare, in Regione, con casi al limite. Ed è anche, suo malgrado, un riassunto delle «bizzarrie» del Coronavirus scoperto a Wuhan: perché colpisce così selettivamente? Perché prende di mira gli individui più anziani ma con queste eccezioni clamorose? Perché in alcuni casi sembra non passare? Quest’ultimo punto è uno dei più enigmatici. Il «paziente veronese» una cifra che si accende e che si spegne nei bollettini quotidiani dell’Azienda Zero, non perché entra ed esca con frequenza dalla terapia intensiva. Ma perché, in lui, il virus SarsCov-2 appare e scompare come se qualcuno premesse un interruttore. E il risultato si vede nei tamponi: a volte positivi, quindi con carica virale, a volte no.
Quello del 28enne è un caso stranissimo, certamente tragico data l’età e l’entità del ricovero, avvenuto a marzo, durante «l’esplosione» dell’epidemia in provincia di Verona. Ma è tutt’altro che disperato. Lo ripete da tempo il primario delle Cure intensive dell’Azienda Ospedaliera, Enrico Polati. «Il quadro è in sostanziale e graduale miglioramento – ha confermato ieri – il che ci fa sperare, anche se non possiamo sbilanciarci. Il paziente è ancora in terapia intensiva, in quanto ha bisogno di assistenza con un ventilatore, ma per quanto riguarda la malattia, il Covid 19 c’entra ormai poco. Il fatto che ritorni positivo non ha implicato, finora, un peggioramento della sua situazione». Di sicuro quello del ragazzo, di professione ingegnere, resterà un «caso scuola», che finirà per essere studiato nella speranza di capire «cosa può andare storto» con le infezioni da coronavirus.
Quello che è accaduto a marzo segue un copione visto purtroppo spesso dai medici veronesi. Il paziente arriva con la febbre alta, difficoltà respiratorie, afferma che si sente soffocare. Sono in molti in quei giorni ad essere portati dall’ambulanza in quelle condizioni, semplicemente, di solito, l’età media è molto più alta. Come hanno imparato da pochi giorni i medici, in simili situazioni ci si può aspettare un peggioramento improvviso. E nel caso del 28enne succede.
Serve la terapia intensiva, la respirazione assistita sotto sedazione. Si è resa necessaria perfino la Ecmo, il ricorso a quel macchinario che non tutti gli ospedali hanno (ma, nel Veronese, è in dotazione a Borgo Trento) e che permette di ossigenare il sangue tramite circolazione extracorporea, permettendo ai polmoni di non essere sottoposti ad ulteriore stress. Ed è proprio a livello polmonare che il ragazzo ha riportato dei danni così gravi e prolungati da richiedere una continua assistenza.
Quanto al virus «persistente», anche quello è un mistero che dev’essere ancora chiarito. In Veneto ci sono stati molti casi (e spesso non hanno richiesto l’ospedalizzazione) di pazienti che hanno subito una quarantena prolungata, che si è protratta anche per mesi, causa tampone negativo. Il dibattito tra gli specialisti è aperto: non è certo se queste persone, spariti i sintomi, debbano considerarsi «guarite» o meno.