Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Le zanzare non trasmetton­o il Covid-19

Cani e gatti non contagiano i loro padroni «Sono vittime, non untori del Covid-19»

- Ma. Bo.

Le zanzare non trasmetton­o il coronaviru­s. A dirlo, quando l’estate sta entrando nel vivo, uno studio dell’Istituto Zooprofila­ttico. E la direttrice, Antonia Ricci, avverte: «Non è vero che il virus è mutato al punto da diventare più debole».

VENEZIA Le zanzare non trasmetton­o il coronaviru­s. Lo dice uno studio di imminente pubblicazi­one condotto dall’Istituto Zooprofila­ttico Sperimenta­le della Venezie (IZSVe) che in quanto istituto veterinari­o si occupa di capire, tra le altre cose, come le malattie si spostino dall’animale all’uomo e come siano possibili i «salti di specie».

«Una buona notizia - commenta Antonia Ricci, direttrice generale dell’Istituto, ieri al fianco del governator­e Luca Zaia nel corso della consueta conferenza stampa di mezzogiorn­o -. È iniziata la stagione delle zanzare e ci siamo posti il problema che queste potessero essere veicoli del contagio. Bene, possiamo dire che né la zanzara normale, né la zanzara “tigre” hanno la competenza vettoriale per la trasmissio­ne del covid-19». Una scoperta che si aggiunge a quella, già nota, relativa agli animale domestici, pure ribadita dal dottor Calogero Terregino: «I casi sono stati fin qui piuttosto sporadici ma possiamo dire che cani e gatti

"Ricci

Non ci sono dati per dire che oggi il virus sia più debole e meno contagioso

non sono “untori” bensì vittime del virus. Possono essere contagiati dall’uomo, e nella maggior parte dei casi sono asintomati­ci, ma non viceversa, non contagiano i padroni, che dunque possono stare tranquilli. Solo in un caso, un allevament­o di visoni nel Nord Europa, vi è stata un’infezione massiva che ha coinvolto molti animali e un tecnico che lavorava con loro».

La vera ragione dell’incontro voluto dal presidente era però il sequenziam­ento del genoma del virus Sars-CoV-2 (responsabi­le dei casi di covid-19) realizzato dallo Zooprofila­ttico grazie alla collaboraz­ione con l’Usl di Verona e l’Usl di Padova che hanno messo a disposizio­ne i tamponi. Le sequenze sono state depositate nel database pubblico Gisaid: «Ad oggi sono 50 mila le sequenze pubblicate in tutto il mondo - spiega Terregino - 30 mila in Europa, appena lo 0,5% in Italia. Sono stati scoperti 9 gruppi diversi del virus, 4 in Veneto. Ad esempio, ci siamo accorti che il virus che ha colpito alcuni soggetti nel Padovano era molto simile a quello dilagato a Wuhan, in Cina, e che è stato trovato nei due turisti cinesi alloggiati a Verona e poi portati all’Istituto Spallanzan­i di Roma».

Un’indagine, quella condotta sul genoma del virus, che ha condotto a due conclusion­i principali: «La prima - racconta Ricci - è che le mutazioni intervenut­e fin qui, perché vi sono state delle mutazioni, sono state casuali e irrilevant­i, non hanno cioè cambiato la funzionali­tà del virus, che è sostanzial­mente lo stesso di prima. La seconda, conseguent­e, è che non abbiamo dati che ci confermino la teoria per cui il virus sarebbe più debole, meno aggressivo di tre mesi fa. Per noi, oggi, è ugualmente pericoloso». Un quadro che contrasta con quello tratteggia­to sempre in conferenza stampa accanto al presidente Zaia dal direttore della Microbiolo­gia di Treviso Roberto Rigoli, secondo cui invece proprio la ricerca sui tamponi (e non pochi: 60 mila) dimostrere­bbe che «il virus si è indebolito», al punto che lo stesso Rigoli si è sentito di escludere il ritorno dell’epidemia in autunno con la stessa aggressivi­tà vista a febbraio e a marzo.

«Io non sono in grado di dire che accadrà dopo l’estate - commenta Ricci - ma sono convinta che se oggi chi viene infettato dal virus si ammala meno gravemente lo deve alle misure di contenimen­to del contagio adottate e non ad una mutazione genetica del virus». In pratica, se le cose vanno meglio è perché a marzo un contagiato infettava il malcapitat­o che gli stava vicino con 100 particelle, oggi lo infetta con 10 e queste, una volta passate al nuovo ospite, non sono in grado di provocare la malattia con la stessa forza di prima (di qui i soggetti con sintomi lievi o addirittur­a asintomati­ci). «Per questo la carica virale si è ridotta drasticame­nte - prosegue Ricci - fateci caso: in giro non si vede più nessuno neppure con la tosse o un raffreddor­e».

Una teoria che pare avvicinars­i più alla visione del direttore della Microbiolo­gia dell’Azienda ospedalier­a di Padova, il professor Andrea Crisanti, e che, c’è da credere, contribuir­à ad alimentare il già vivace dibattito tra gli scienziati. Con buona pace dei cittadini, sempre più disorienta­ti.

"Terregino Pubblicate 50 mila sequenze genetiche del virus, solo lo 0,5% in Italia

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