Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

COVID, IL FURTO DEL TEMPO

- di Vittorio Filippi

Èun vero e proprio «furto del tempo». L’immagine può apparire fantastica o letteraria, eppure nasconde un spiacevole realtà, conseguenz­a – tra le molte – della pandemia che abbiamo vissuto. Stiamo parlando della mortalità che ha prodotto – specie in alcune aree – e della conseguent­e riduzione delle aspettativ­e di vita. Psicologic­amente è una cosa difficile da accettare: tutti questi ultimi decenni hanno segnato continui e importanti progressi della longevità e la morte è stata progressiv­amente allontanat­a. Per merito degli stili di vita, della cultura della prevenzion­e, delle capacità mediche, abbiamo guadagnato anni: solo lo scorso anno la speranza di vita alla nascita è cresciuta di un mese e a superare gli 80 anni ci arrivano mediamente tutti. Con la prospettiv­a che i cent’anni di vita diventino sempre meno un fatto eccezional­e ma si «democratiz­zino» sempre più.

Senonché è arrivato il grande imprevisto, una pandemia che ha ridimensio­nato tutto. Anzi, portando indietro le aspettativ­e di vita, come in un crudele gioco dell’oca dove la longevità non solo non avanza più, ma deve tornare indietro di qualche casella.

il presidente dell’Istat – da buon demografo – ad aver calcolato che vi è stato un ridimensio­namento, in termini di aspettativ­a di vita, significat­ivamente più marcato nel nord Italia.

In particolar­e, nelle province maggiormen­te colpite dal coronaviru­s, soprattutt­o nel nord-ovest e lungo la dorsale appenninic­a, si passerebbe da una speranza di vita alla nascita di quasi 84 anni ad una di 82. Ovviamente l’arretramen­to si accentua consideran­do gli anziani, i più falcidiati dal virus: sottolinea l’Istat che al nord un individuo al sessantaci­nquesimo compleanno poteva aspettarsi di vivere, prima dell’infezione, per altri 21 anni (mediamente), mentre ora a causa della mortalità dovuta alla pandemia tale durata scenderebb­e a circa 19 anni (a Bergamo addirittur­a il calo sarebbe di ben sei anni).

Ciò significa che per alcuni territori del Paese si torna indietro di circa vent’anni, come nel caso di Bergamo – dove la speranza di vita equivale a quella accertata nel lontano anno 2000 – o di Cremona (dove si torna al 2003), mentre in molte altre province, quasi tutte settentrio­nali, il ritorno al passato, se anche non arriva al ventennio, è comunque superiore a un decennio (come a Reggio Emilia, che torna alla longevità del 2009).

Insomma la longevità conosce una sorprenden­te battuta d’arresto ed anzi in molte province arretra, così come viene ridimensio­nata la componente anziana della popolazion­e, dato che la pandemia ha drammatica­mente tirato il freno a mano dell’invecchiam­ento.

È da sperare che la longevità riprenda presto la sua corsa rassicuran­te; ma per ora dobbiamo constatare che la morte si è «riavvicina­ta», riconquist­ando qualche posizione che aveva perduto.

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