Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Eraclea, il poliziotto e i favori al clan «La rissa? Sono dei bravi ragazzi»
Il teste: Donadio mi disse di votare per Mestre, ma io buttai via i santini
MESTRE «Sono dei bravi ragazzi». Facile l’assonanza con i Goodfellas di Martin Scorsese, ma a dirlo è stato ieri in aula bunker il poliziotto Moreno Pasqual, ricordando uno di quei favori che – secondo la procura – avrebbe fatto a Luciano Donadio, ritenuto il boss del clan casalese di Eraclea, di cui era amico come lo erano le mogli. Era la sera del 22 dicembre 2013 e davanti a un bar del centro c’era stata una violenta rissa: da una parte un gruppo di skinheads, dall’altra i napoletani, tra cui il figlio di Donadio, Adriano, e il nipote Antonio Puoti. Donadio aveva subito chiamato Pasqual,
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che subito si era precipitato lì. «Ai carabinieri ho detto che erano dei bravi ragazzi, non dei malavitosi casalesi - ha ammesso - Sono intervenuto per calmarli e ho detto a Donadio di non venire per non infiammare il clima». Secondo i pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini il suo intervento evitò l’arresto di Donadio jr e di Puoti, lui poi ha ammesso di aver chiamato più volte i colleghi e di non aver fatto alcuna relazione di servizio: «Un errore».
Pasqual – a processo nel troncone in rito abbreviato per concorso esterno mafioso e ieri solo testimone nell’udienza dibattimentale – ha poi ricordato il suo interessamento per due pratiche del boss: la licenza per aprire il punto Snai in piazza a Eraclea nel 2010 e il porto d’armi sportivo nel 2017. «Per quest’ultimo ho chiesto ai colleghi perché non era ancora stato rilasciato e mi dissero che se ne occupava la Questura di Venezia - ha proseguito - Io ricordai che Donadio aveva ottenuto la riabilitazione». Ha infine ammesso di aver fatto svariati accessi alla banca dati della polizia (il cosiddetto «Sdi»): «L’ho fatto dopo varie insistenze di Donadio, che mi aveva detto che quelle inforil mazioni gli servivano perché doveva fare delle società con quelle persone». Ma il pm Terzo gli ha ricordato che aveva fatto più accessi anche su Donadio stesso e che dallo Sdi emerge non solo il casellario, ma anche i procedimenti in corso. In cambio, secondo l’accusa, avrebbe ricevuto dei lavori a casa, ma lui ha sminuito. «Donadio mi mandò un elettricista che non sapeva lavorare e gli diedi 100 euro in nero a fine giornata - ha detto - Un altro mi aprì un lucernario e non volle essere pagato, ma a Natale gli feci una cesta». Le difese gli hanno però fatto dire di non aver mai visto