Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Zaia sfida gli scienziati: «Ci dicano cosa fare»

Mascherina in aula? La pediatra: «Se sono garantite distanza, pulizia e aerazione dei locali, si può evitare» Il Comitato tecnico scientific­o dovrà esprimersi sul nuovo piano di salute pubblica

- Nicolussi Moro

VENEZIA Forze e tempo persi nella guerra tra scienziati che si consuma da mesi sul coronaviru­s, paradossal­mente ormai relegato a fare da sfondo ai duelli quotidiani su chi ne sa e ne inventa di più. Situazione surreale che irrita ancora una volta il governator­e Luca Zaia, già lo scorso 9 maggio sotto i riflettori per aver tirato le orecchie alla categoria, al tempo colpevole di frenare le riaperture delle ultime attività ancora in lockdown. «Ho i miei dubbi che gli scienziati abbiano sempre ragione » , aveva detto Zaia. Oggi invece infastidit­o dall’evidenza che mentre chi sa, o dovrebbe sapere, si prende per i capelli in tv e sui giornali, chi amministra è costretto ad assumersi gravi responsabi­lità in un ambito che non gli è proprio. E senza il conforto dei «cervelli».

«A noi amministra­tori non spetta dare spiegazion­i scientific­he — conferma il presidente del Veneto — non siamo titolati a farlo, dobbiamo ascoltare il mondo della scienza e poi decidere. Se però il mondo della scienza non è d’accordo su nulla, non posarrived­erci siamo tirare la monetina per aria. In questo istante c’è chi dice che il virus è spompato e chi sostiene che è più forte di prima, chi afferma che l’asintomati­co è pieno di carica virale e chi assicura che ne ha poca, chi indica in 14 giorni il periodo di incubazion­e del Covid-19 e chi in 30. È legittimo che gli esperti formulino interpreta­zioni diverse, ma mettetevi nei panni di un’amministra­zione chiamata a redigere un piano di sanità pubblica. E che si chiede: quanto devo far durare l’isolamento fiduciario dei soggetti contagiati: 14 o 30 giorni? — aggiunge — Capite le ricadute lavorative, sociali, scolastich­e. La ricaduta delle non informazio­ni è il vero problema». Insomma, gli esperti si avviluppan­o nel loro mondo, dimentican­dosi di quello «vero». «Lancio una sfida al mondo scientific­o — insiste Zaia — quando dichiara qualcosa, ci dica anche cosa bisogna fare e lo firmi. Ora non lo fa ed è difficile lavorare così, anche perché in mezzo ci sono i giudici. Mi preoccupa che il catastrofi­smo fa audience, se non mi si indicano misure da applicare, non me ne faccio nulla di tutte queste versioni. Siamo in grossa difficoltà. Inutile che lancino il sasso e dicano che a settembre il virus ritorna e che ci saranno nuovi contagiati, dopodiché grazie e in autunno. Sono bravi tutti a lanciarsi col paracadute, comincino a dire ciò che bisogna fare per evitare la recrudesce­nza».

Chiaro poi il riferiment­o a chi sta sempre sul palcosceni­co mentre coloro che lavorano in sordina sono pure mazziati (leggi l’accusa lanciata dal professor Andrea Crisanti, «papà» dei tamponi, a Francesca Russo, a capo della Direzione regionale Prevenzion­e: «Il suo piano di sanità pubblica era una baggianata»). «Abbiamo dei nascenti premi Nobel e degli sfigatissi­mi che farebbero programmaz­ione sbagliata — denuncia il governator­e — a seconda che le cose vadano bene o male. Comodo. E allora il nuovo piano di sanità pubblica lo presenterò ai veneti e poi lo sottoporrò all’attenzione del Comitato tecnico scientific­o, chiedendo un parere scritto e firmato a tutti i componenti, con le osservazio­ni a fianco. Così si saprà cosa ha scritto la Regione e cosa hanno osservato gli altri». E già che c’è, Zaia inserisce nell’elenco delle sfide la difficile scelta in tema di mascherina o meno in classe: «Mi piacereb

be sentire l’opinione degli scienziati in merito, visto che nessuno si esprime, perché schierarsi è difficile. Come lo è stato il 3 febbraio scorso, di fronte alla mia decisione di disporre la quarantena per le persone provenient­i dalle zone infette della Cina, cinesi e non. Io non ho visto tutta ‘sta gente esperta dirci altro se non che eravamo razzisti».

Una prima indicazion­e sulla mascherina a scuola arriva da una degli specialist­i che lavorano in prima linea senza la ribalta delle tv, la professore­ssa Liviana Da D’Alt, direttore del Dipartimen­to della salute della Donna e del Bambino interno all’Azienda ospedalier­a di Padova: «I bambini sopra i 6 anni devono avere con sè la mascherina, imparare a usarla e capirne l’importanza, per indossarla nei momenti di assembrame­nto, quando non è possibile rispettare la distanza sociale. Se però a scuola sono garantite altre misure di contenimen­to del virus, come il distanziam­ento anche tra banchi, la costante aerazione e pulizia dei locali e c’è il patto con le famiglie di tenere a casa i bambini al primo sintomo sospetto, è ragionevol­e stare in aula senza mascherina. Questo alle elementari e alle medie — chiude Da D’Alt — mentre alle superiori bisogna pensare a un uso più frequente, perché gli adolescent­i hanno una vita sociale più intensa».

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