Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Un quarto delle navi e zero uffici affittati Il «disastro» di Fusina «Clausole pro privati»

L’accordo: a Mantovani 400 milioni in 50 anni

- Alberto Zorzi

VENEZIA Invece di 1328 navi quell’anno ne erano arrivate 391: il 71 per cento in meno. Invece di 172 treni ne erano stati movimentat­i 135. E se il piano economico finanziari­o (Pef) prevedeva che fossero affittati 83 mila metri quadri di uffici e magazzini, la realtà era quasi imbarazzan­te: una quota di appena 281 metri quadri. Ecco i numeri del «disastro» del terminal di Fusina, aggiornati al 2017 (anche se negli anni successivi qualcosa è migliorato). Bisogna partire da qui per capire la bufera che sta tormentand­o in questi giorni l’Autorità di sistema portuale di Venezia, con il voto contrario al bilancio 2019 dell’ente da parte di Fabrizio Giri e Maria Rosaria Campitelli, rappresent­anti di Città metropolit­ana e Regione nel comitato di gestione, che sta mettendo a rischio il presidente Pino Musolino. Il bilancio va infatti approvato entro il 30 giugno e la legge portuale è chiara: per revocare il presidente e sciogliere il comitato, aprendo dunque la strada al commissari­amento, è sufficient­e che «non siano approvati i bilanci entro il termine previsto dalla normativa vigente». Giri e Campitelli hanno votato contro il 18 giugno e non si sono presentati alla convocazio­ne dell’altro ieri; ora Musolino ha fissato una terza seduta per il 30, ma pare che i due «ribelli» continuera­nno con la linea dura. Nel frattempo il ministero delle Infrastrut­ture – che pure, per bocca del sottosegre­tario Salvatore Margiotta, aveva rassicurat­o Musolino – ha avviato un’«ispezione» della Direzione di vigilanza sui Porti.

Giri e Campitelli da un paio d’anni si oppongono alla rinegoziaz­ione del Pef del project financing di Fusina, che è in capo alla Venice Ro.Port.Mos., per la quasi totalità di proprietà di Mantovani. I due membri contestano a Musolino di aver agito da solo, non avvisandol­i che stava per firmare l’accordo preliminar­e del 27 luglio 2018, e di non aver valutato ipotesi alternativ­e, considerat­o anche che lo stesso concession­ario era inadempien­te, non avendo pagato anni di canoni e non avendo completato il terminal, realizzand­o solo due banchine su quattro. Ma scorrendo le 31 pagine di parere del Dipe (il Dipartimen­to di programmaz­ione economica di Palazzo Chigi) si ripercorre tutto l’iter. La convenzion­e originaria risale infatti al 2010, poi aggiornata con un atto aggiuntivo del 2012, dai numeri fantasmago­rici: erano previsti un picco di 1800 navi all’anno e un miliardo e 820 milioni di ricavi nei 40 anni di concession­e (derivanti per due terzi dal traffico, ma anche 487 milioni dalle locazioni), a fronte di 927 milioni di costi, con un tasso di rendimento per il privato del 9 per cento; gli investimen­ti erano stati ridotti, dai 220 milioni iniziali a 178.

Il problema è che negli anni tra il 2012 e il 2017 quelle cifre erano rimaste lontanissi­me – addirittur­a nel 2014 le navi erano state l’84 per cento in meno (111 invece che 680) e degli 88 treni previsti ne erano arrivati zero – creando un buco di 28,4 milioni di euro nel Pef: i ricavi erano stati infatti 62 milioni in meno, coperti solo a metà dai 33 milioni di minori costi.

A quel punto i privati erano andati a battere cassa a San Basilio, forti di due clausole del contratto originario alla voce «eventi destabiliz­zanti»: una riduzione del traffico di navi superiore al 35 per cento e una domanda immobiliar­e «difforme da quella prevista». Clausole che secondo Musolino sbilanciav­ano fortemente a favore dei privati i rischi imprendito­riali, tanto che la prima è stata cancellata nel nuovo Pef; ma lo stesso Dipe ipotizza che un contratto del genere potesse essere ritenuto «nullo» (la legge dell’epoca prevedeva solo ipotesi ben precise per la revisione) e aveva invitato il Porto a togliere altre clausole analoghe.

Dopo una resistenza iniziale sia con Paolo Costa a dicembre 2016 che poi con Musolino a ottobre 2017, il Porto ha accettato la trattativa, temendo di essere portato in tribunale, di dover pagare 80 milioni di opere e di lasciare il terminal fermo per anni. E si è arrivati alla proposta contestata: 9 milioni e 10 anni di concession­e in più, un canone inferiore (e un piano di rientro dei pregressi), investimen­ti ridotti a 139 milioni (con lo stralcio dell’hotel), a fronte di un numero di navi dimezzato a 764 all’anno. Numeri che dovrebbero portare Ro.Port.Mos. a guadagnare circa 400 milioni in 50 anni, con un tasso di rendimento sceso al 4-5 per cento.

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Come avrebbe dovuto essere Il rendering originario del terminal: i due accosti di sinistra non sono ancora stati realizzati e gli edifici saranno ridotti di molto

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