Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
GENOVA E LA LEZIONE DEL MOSE
Domani 10 luglio il presidente del consiglio Giuseppe Conte e la ministro Paola De Micheli assisteranno alla sollevazione contemporanea di tutte le dighe mobili del Mose. Evento che segnalerà al mondo il compimento «tecnico» dell’opera che proteggerà Venezia e la sua laguna dalla furia delle mareggiate e dalle acque alte eccezionali. Per un momento il traguardo raggiunto potrà far inorgoglire l’Italia e far dimenticare i ritardi – almeno dieci anni buttati e costati svariate acque alte eccezionali - e il retrogusto amaro degli scandali che hanno purtroppo segnato la realizzazione dell’opera. Ma l’evento è occasione da non perdere per riflettere almeno su due temi: uno di bruciante attualità nazionale e l’altro cruciale per l’economia veneziana oggi messa a rischio dalla pandemia da covid 19. Chi a Roma si accapiglierà sul «decreto semplificazione» nella sua fase di conversione in legge farà bene ad osservare che la vicenda Mose dimostra ex contrario che il cosiddetto «modello Genova», quello che ha fatto ricostruire il ponte sul Polcevera in due anni, non è replicabile. I decenni persi per il Mose dimostrano che ad accelerare le opere non bastano risorse finanziarie illimitate, aggiudicazioni dirette della progettazione e dei lavori, sottratte ad ogni possibile contenzioso, e procedure di approvazione assistite da una legislazione speciale: condizioni comuni a Genova-Polcevera e a Venezia-Mose.
Quello che ha fatto la differenza tra il modello Genova e il modello Venezia è che la ricostruzione del ponte sul Polcevera ha goduto del consenso unanime alla sua ricostruzione, mentre il Mose ha dovuto lottare contro un dissenso pervicace che ha alimentato contrasti tra amministrazioni statali e tra livelli di governo in un continuo scambio di ruoli. Chi scrive ha avuto la ventura di vivere, da ministro dei lavori pubblici, gli scontri sulla valutazione di impatto ambientale (1998), da sindaco di Venezia quelli sull’avvio della sua realizzazione (2003) e da presidente dell’autorità portuale quelli per la correzione delle opere complementari necessarie a mantenere l’agibilità portuale (2011).
Il Mose ci insegna che l’accelerazione della realizzazione delle opere pubbliche in Italia non si ottiene lavorando sulla punta dell’iceberg del modello Genova - commissari e procedure —, ma sulla parte sommersa, del consenso da costruire con una pianificazione infrastrutturale sistemica e stabile perché meditata ( non con il patchwork di una lista di opere «prioritarie» che cambia sulla carta ogni paio d’anni) e con professionalità da concentrare in poche autorevoli stazioni appaltanti. Ma, tornando a Venezia, il Mose non esaurisce il tema della conservazione del bene culturale Venezia: vi contribuisce proteggendolo dal mare, ma non, per sé, irrobustendo i fondamenti economico-finanziari del suo mantenimento. Problema oggi reso drammatico dalle conseguenze della pandemia da covid 19 sulla economia turistica veneziana.
La necessità di riequilibrare la base economica dell’area veneziana anche sfruttando al meglio il blocco portuale e manufatturiero portocentrico di Marghera diventa più urgente che mai. Risultato raggiungibile se lo stato vorrà tener fede agli impegni assunti con la realizzazione delle «opere complementari» previste in sede di approvazione del progetto MoSE nel 2003, e ribadito per legge nel 2013. Sono gli impegni relativi al ripristino dell’accessibilità nautica del porto previsto dai progetti di adeguamento della conca di navigazione a Malamocco e di una piattaforma d’altura con fondali a -20 metri, che reimmetterebbero Venezia (ma anche Chioggia e
Ravenna) nel circuito delle rotte globali.
Purtroppo di questi progetti, pronti all’esecuzione e che giacciono da tempo nei nei cassetti dell’autorità portuale, del Mit e del Cipe, non vi è traccia nella proposta governativa del «decreto semplificazione». Venezia con il suo porto e il blocco manifatturiero e logistico di Marghera - la parte più consistente della possibile economia postpandemica capace di risolvere per tempo e nel tempo il problema del mantenimento del bene culturale Venezia, urbs e civitas,- sembrano scomparso dai radar della politica nazionale.