Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Quei 178 positivi: «Al lavoro senza l’esito degli esami»

Nello stabilimen­to Aia dimezzata la produzione L’azienda si difende: «Operiamo secondo legge»

- Di Silvia Madiotto

Un

macello animale del gruppo Aia dove ci sono ben 178 operai positivi a cui vanno aggiunti venti famigliari. Accade a Vazzola, nel Trevigiano, oggi il focolaio più grande del Veneto (anche se i positivi restano quasi tutti asintomati­ci). Pare che ci siano state anomalie nelle quarantene, ovvero operai andati a lavorare tra il tampone e l’esito poi rivelatosi infausto.

VAZZOLA (TREVISO) Bisogna partire dai numeri perché è quello il nodo di tutta la vicenda: 178 lavoratori positivi su 560 testati a cui si aggiungono 21 persone positive su 145 familiari e conviventi sottoposti a tampone. All’Aia di Vazzola, sinistra Piave della provincia di Treviso, in uno stabilimen­to di macellazio­ne e lavorazion­e animale, c’è il più grosso focolaio di Covid attualment­e censito in Veneto. Come sia partito, chi abbia portato il virus all’interno dei magazzini e degli impianti, come sia stato possibile farlo esplodere fino al contagio di quasi un terzo dei dipendenti, è oggetto di un’indagine epidemiolo­gica complessa che forse non riuscirà a dare risposte complete ma che più si allarga più trova infetti. Asintomati­ci (con eccezione del primo malato da cui è scattato lo screening e altri due colleghi) ma infetti.

Di certo nel novero delle spiegazion­i vanno inclusi errori umani e più in generale la sottovalut­azione del problema. A partire da un’anomalia delle quarantene: alcuni dipendenti sono andati al lavoro nei giorni intercorsi fra il test e l’esito non rispettand­o l’isolamento fiduciario e alcuni di loro hanno avuto diagnosi positiva. Questo significa che hanno continuato a svolgere la loro mansione a stretto contatto con altri colleghi dello stabilimen­to, dotati di ogni dispositiv­o di protezione individual­e ma con l’infezione in corso: «L’Usl 2 ci ha rassicurat­i che la procedura è normalment­e applicata quando viene verificata la bassa viralità, quando ci sono molti asintomati­ci – evidenzia Andrea Meneghel, segretario Fai Cisl -. Ci lascia un po’ di perplessit­à, certo, ma l’incontro è stato positivo e ci è stato assicurato che da qui in avanti verranno fatti test con cadenza settimanal­e fino all’esauriment­o dell’infezione».

Alla fine però sono i numeri che parlano, in particolar­e i 178 lavoratori Covid-positivi (fra la Tre Valli e la Vierre Coop), e questo ha imposto a una delle più grosse industrie alimentari del Paese a tagliare la produzione del 50%, riducendo i turni per favorire il distanziam­ento. Finché i tamponi non saranno tutti negativi solo metà dei dipendenti entrerà e metà dei prodotti avicoli uscirà, ma lo stabilimen­to non è destinato a chiudere: non è necessario per i sanitari e non sarebbe sostenibil­e per l’azienda.

«Mercoledì ricomincer­emo a fare altri tamponi all’Aia con il test rapido – spiega il dg dell’Usl 2 Francesco Benazzi uscendo dal vertice urgente convocato ieri in Prefettura -

"

L’Usl 2 ci ha detto che è la procedura quando la viralità è bassa ma come sindacati restiamo perplessi

ma la garanzia della sicurezza dei lavoratori rimane soprattutt­o nel rispetto della distanza e nell’uso della mascherina, il virus c’è ma è indebolito ed esterno all’impianto». Scivola invece via il dirigente di Aia Giuliano Allegri, seguito da una folta schiera di collaborat­ori. Poche parole: «L’azienda opera nel pieno rispetto delle leggi, mettiamo in atto tutte le misure sanitarie e il distanziam­ento». A domanda diretta: temete un impatto commercial­e per il marchio? Risposta secca di Allegri: «Al momento no». Per quanto restrittiv­i possano essere i protocolli sanitari, c’è un altro elemento da considerar­e: che fuori da lì cinquecent­o persone vivono la propria vita e hanno delle relazioni sociali in comunità allargate, dove la mascherina che è obbligator­ia in azienda rimane in tasca o sotto il mento; una parte consistent­e dei positivi è straniera e di origine africana, più reticente alla prevenzion­e in ambito esterno. È una delle spiegazion­i che vengono date dall’Usl per comprender­e il maxi focolaio scoppiato a Vazzola. C’è anche la complicità di un ambiente considerat­o favorevole alla diffusione del virus dal sindacato dei veterinari Sivemp, ovvero con basse temperatur­e, umidità in ambienti comuni e contatto con materiale organico della lavorazion­e animale. Cgil, Cisl e Uil hanno chiesto il vertice di ieri per affrontare il caso sotto il profilo della sicurezza e sanità pubblica: per ora non vedono un pericolo occupazion­ale che rimane fronte da tutelare; hanno ottenuto l’installazi­one di termoscann­er agli ingressi, una più rigorosa sanificazi­one degli ambienti di lavoro, screening continui. Lunedì l’Usl 2 ha sottoposto a tampone i lavoratori rientrati da due o tre settimane di ferie, quindi assenti durante l’emersione del cluster, e 18 sono risultati positivi ma se non fosse scoppiato il caso, essendo asintomati­ci nessuno di loro si sarebbe accorto di essere un veicolo di contagio. In vista di un autunno caldo, con il Covid-19 sempre dietro l’angolo, l’Aia è un precedente che diventa caso studio: le aziende sono a rischio contagio quanto ogni altro luogo.

 ??  ??
 ??  ?? L’impianto di Vazzola
Aia è uno dei marchi più conosciuti nel campo della macellazio­ne animale, in particolar­e di quella avicola (foto Balanza)
L’impianto di Vazzola Aia è uno dei marchi più conosciuti nel campo della macellazio­ne animale, in particolar­e di quella avicola (foto Balanza)

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy