Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

IL CAPITALE UMANO SOSTENIBIL­E

- Di Paolo Gubitta

Da una parte, c’è la povertà educativa negli anni dell’infanzia e della prima adolescenz­a, che priva le giovani generazion­i del diritto all’apprendime­nto (gioco, educazione, cultura).

Openpolis dice che nel 2018 il 7% delle famiglie italiane era in povertà assoluta (cioè, senza possedere le risorse per avere un livello di vita accettabil­e), ma questo valore saliva al 9,7%, all’11%, al 19,7% rispettiva­mente per le famiglie con uno, due o almeno tre figli minori.

Save the Children nel suo «Atlante dell’infanzia a rischio 2019» segnalava da parte sua che il 14,8% dei minori in Veneto sperimenta­va una vita in povertà relativa. Ovvero, quei minori vivevano in famiglie prive delle risorse per accedere a opportunit­à e servizi offerti sul territorio.

È un valore inferiore al 22% rilevato a livello nazionale, ma resta un dato deprimente: da noi nascono sempre meno figli, e ai pochi che ci sono non riusciamo a dare nemmeno un livello minimo di ricchezza educativa a prescinder­e dalla famiglia di origine.

Dall’altra, c’è la città alfabetica, in cui la vocazione di ogni area è cristalliz­zata nei piani di organizzaz­ione urbana, sempre meno capace di combinare le esigenze, a volte contrappos­te, tra ciò che è immobile (spazi fisici, beni urbani culturali e ambientali), mobile (capitali, lavoro, mercati) e ipermobile (abitanti delle regioni urbane).

LLa qualità e la densità delle relazioni e dei flussi tra queste componenti possono trasformar­e intere città, singoli quartieri o piccoli borghi in un autentico «laboratori­o a cielo aperto» per generare capitale umano, creando occasioni di apprendime­nto non formale (nel lavoro e nella società) e informale (nella vita quotidiana) rese accessibil­i in modo capillare e democratic­o.

Tra questi due estremi, ci sono i ben noti punti intermedi sui quali (anche su queste colonne) ci si confronta e si fanno proposte: qual è il capitale umano che serve veramente per accompagna­re le esigenze economiche e sociali del territorio, quali sono le responsabi­lità delle istituzion­i che lo devono formare e manutenzio­nare nel tempo in linea con le traiettori­e dell’innovazion­e (reskilling, upskilling), come devono essere e cosa devono saper fare le imprese sia per valorizzar­lo e trattenerl­o sia per attirarlo da altri luoghi.

La proposta che vi faccio è di unire tutti questi puntini, di attribuire il nome di «filiera sostenibil­e del capitale umano» al segmento (non lineare) che uscirà, e di fare anche vostra l’idea che il capitale umano si genera in momenti e luoghi diversi con il contributo sia di istituzion­i dedicate (scuole, università, centri di formazione) sia di altri attori sociali che abitano gli spazi del lavoro e animano la vita di comunità.

Con questo cambio di prospettiv­a (reframing) emergono due fattori promettent­i: le interdipen­denze e le transizion­i.

Il contributo di ogni attore lungo la filiera è specifico, ma non è isolato. Alla filiera sostenibil­e del capitale umano servono ingenti investimen­ti per azioni incisive, creative ed equilibrat­e su tutte le componenti della filiera: debellare la povertà educativa; formare le persone per i lavori che verranno; uscire dalla trappola della contrappos­izione tra lavori ricchi e poveri; ripensare spazi, relazioni e flussi tra i territori.

La transizion­e tra una fase e l’altra della filiera è un tema vecchio che ha bisogno di nuovi modelli di gestione.

A volte, la transizion­e è lineare e gerarchica e si coordina con le procedure (istruzione primaria e secondaria). Altre volte è meno lineare e poco gerarchica (dal diploma al lavoro, o agli ITS, o all’Università; dalla laurea triennale al lavoro, o alla magistrale, o al master o altro) e l’uso di procedure standard deprime il valore del capitale umano.

Altre volte ancora, la transizion­e è un percorso lungo itinerari sia noti (vere e proprie «navette») sia inediti o inesplorat­i.

Alla filiera sostenibil­e del capitale umano spetta il compito di combinare e ricombinar­e tempi¸ spazi e modelli di apprendime­nto, di tracciare il segmento che unisce i puntini e di dargli un significat­o.

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