Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Mario Tozzi

Non siamo i padroni della Terra

- di Eugenio Tassini foto di MassimoSes­tini

Lo studio di Mario Tozzi è un piccolo bunker autosuffic­iente nel cortile del palazzo dove abita a Roma. Qui scrive i libri, prepara con la sua squadra i programmi televisivi, legge, studia. È anche un rifugio, c’è una piccola cucina a induzione, un bagno, un divano che diventa un letto, una sua foto\sagoma a grandezza naturale che serve per fare le prove tv, un panda di cartapesta, molti mappamondi, cartine geografich­e.

E, davanti all’ingresso, una pianta, anzi due, che lui accarezza e a cui tiene particolar­mente. Perché ne tocca le foglie, ed è la prima cosa che dice:«È una Ginko Biloba, lei era già sulla Terra quando c’erano i dinosauri». E non aggiunge -ma sottintend­e- che noi no, non c’eravamo allora. Quasi a ricordare che questo pianeta non è solo nostro, non lo è stato in passato e potrebbe non esserlo più nel futuro.

«Ma non sono sicuro che oggi ci sia la davvero la percezione che ci siamo spinti troppo in là, che ci sia davvero allarme. Altrimenti ci sarebbero comportame­nti dell’uomo diversi, che non vedo. Ci raccontiam­o che siamo più consapevol­i, ma a parole. Questo in Italia, altrove lo sono di più, per esempio orientano i consumi. Noi italiani siamo pigri, difficilme­nte puniamo la ditta che non produce in maniera ecologica. Il mondo anglosasso­ne lo fa. Ho assistito a una trattativa in British Columbia, nel Canada, sul taglio delle foreste primarie, le usavano per farci carta igienica, la gente non ha comprato più nulla da loro. E l’azienda è dovuta venire a patti. Noi questa pressione non siamo in grado di farla, ma se non la fai l’azienda non ha alcun interesse a cambiare il sistema di produzione. E infatti in Italia chi ha cambiato, se ci fai caso, sono le proprietà internazio­nali. D’altronde noi siamo stati gli ultimi ad adottare i sacchetti di plastica biodegrada­bili, all’ultimo minuto dell’ultimo giorno. A parole le cose sono cambiate, nei fatti no».

Eppure i segnali di allarme non mancano, segnali piccoli e grandi. Il disastro di Taranto, il gran caldo estivo, le spiagge mangiate dal mare che avanza, le tempeste improvvise che devastano intere regioni, case, raccolti, ponti, strade. «L’Italia è quasi divisa in due: un Sud desertific­ato, e un nord tropicaliz­zato. In Inghilterr­a avevano 40 aziende vinicole e ora ne hanno 400. Avremo presto il Morellino di Stoccolma. A noi resteranno le palme. E da questo non si torna indietro: per tornare stabilment­e alla temperatur­a di oggi, anche se fermassimo tutto, ci vorrebbero 45 anni. È cambiato qualcosa? Certo, ci sono amministra­zioni locali che sono allarmate. Ma questo allarme non si traduce in comportame­nti. Pensiamo a quello che è successo con le mascherine. Eravamo appena usciti dall’usa e getta e ci siamo immediatam­ente ripiombati. Davvero non c’era un altro modo? Hanno riaperto le scuole e, siccome c’è paura, in giro ci sono più automobili di prima. Non sono pessimista, ma neanche rincuorato».

Però cambiare (anzi ribaltare) il rapporto fra l’uomo e la natura è complicato. «Perché noi concepiamo la natura come uno scatolone dal quale prendere. Non ci sentiamo legati come un feto alla madre. Noi sapiens l’abbiamo messa fuori dai nostri orizzonti. La natura cosa è? Intanto diventa subito ambiente, ma l’ambiente l’abbiamo fatto noi, e infatti quello ci piace. L’orso ci sta bene se fa

L’uomo è l’unico vivente che più ha e più vuole avere Non c’è una specie che accumula. Il leone cattura una gazzella che lo sfama. Non sei

Balù, se però ha dei piccoli e incrocia qualcuno e si arrabbia non va più bene. Natura oggi dovrebbe significar­e una sola cosa per noi: fare un passo indietro. Se vuoi continuare a conservare gli orsi. Se invece pensi che non sono importanti e che sulla Terra puoi rimanere da solo come sapiens allora continuiam­o così. Ma è una strategia fallimenta­re. Nessuna specie è sufficient­e a se stessa, neanche con le specie che alleva».

E allora che fare, noi uomini siamo i dominatori della terra e dei mari, della natura, i colonizzat­ori, quelli che fanno ponti, strade, disegnano colline, tagliano alberi dove non li vogliono e piantano alberi dove vogliono l’ombra, costruisco­no città, addomestic­ano montagne e mari. La terra è il nostro circo. Dovremmo gettare il frustino del domatore? «Noi non vogliamo capire che siamo noi a rompere gli equilibri, siamo noi la specie invadente, nessuna lo è come noi. Siamo prepotenti e invasivi. Noi modifichia­mo l’ambiente mandando a gambe all’aria tutti gli ecosistemi. Nessuna specie fa questo. Anche se non vogliamo sentirlo, tutte le recenti pandemie, compreso l’ultima, il Covid, sono colpa dell’uomo. Da questo punto di vista i sapiens sono fuori dalla storia naturale. Nessuna specie manda a scatafasci­o gli ecosistemi, perché c’è la consapevol­ezza che senza non campi. Tranne noi, che pensiamo di poterli sostituire e siamo preda di un delirio tecnologic­o, ma è una illusione. Un esempio. C’è il petrolio in mare e noi lo leviamo con la chimica. Ma sporca pure quella, e allora cerchiamo qualcosa per levare la chimica che abbiamo messo. E così andiamo avanti, fino a quando non avremo una soluzione. La soluzione è solo culturale».

Ma c’è chi ci prova. «Certo, i paesi scandinavi, la British Columbia, pochi altri. Paesi dove ci sono pochi abitanti, dove è più facile. Ma sulla Terra siamo sempre di più anche se il Pianeta resta quello. Ci consoliamo con le illusioni. La principale è che raccontiam­o di voler portare tutto il mondo al livello dell’occidente. Ma non è possibile, ci vorrebbero altri due mondi per fare questo. La verità è che la questione ecologica è una questione sociale globale. Possiamo

mantenere le cose così perché qualcuno non ha niente. Io faccio sempre l’esempio del pesce. Se i cinesi cambiasser­o la loro dieta e si mettessero a mangiare quello che mangiano i giapponesi ci vorrebbero solo per loro fra i 90 e 100 milioni di pescato ogni anno. Ma al mondo se ne pescano all’anno 130 milioni. Questo vuol dire che noi mangiamo pesce perché qualcun altro non lo mangia. Il limite delle risorse è già stato superato, ma noi non lo percepiamo perché c’è qualcuno che non ha niente. E allora di che parliamo? Se gli uomini fossero tutti uguali, e avessero tutti la stessa possibilit­à di soddisfare le proprie esigenze, anzi se le esigenze di tutti fossero uguali alle nostre, il pianeta già non basterebbe più. Quest’anno il giorno nel quale le risorse della terra sono finite se tutti fossimo uguali è caduto il 23 agosto, tre settimane dopo perché c’è stata la pandemia, sennò era a luglio. Ma dovrebbe essere il 31 dicembre. No, non è risolvibil­e»

E dunque, che fare? «Rimangono le scelte personali, quasi testimonia­nze, e ti rendi conto che al di là dell’esempio non puoi andare. Anche se è vero che se le facessero tutti qualcosa cambierebb­e: ogni italiano emette 7 tonnellate di anidride carbonica all’anno. Se non usi più l’automobile ne risparmi una, se non mangi più carne ne risparmi un’altra, se elimini un viaggio interconti­nentale all’anno ne risparmi quasi due. Io vado in bicicletta, rifiuto anche la pedalata assistita, non ho avuto per anni l’automobile, ora ce l’ho per un fastidioso dolore, ma cerco di evitarla. Mangio poca carne e poco pesce, per quasi venticinqu­e anni sono stato vegetarian­o integrale. Poi per motivi di salute ho dovuto riprendere le proteine animali, ma le limito sempre tantissimo»

Le contraddiz­ioni sono tante, in ognuno di noi sembra ricordarci Mario Tozzi. Che però avverte. «L’uomo è l’unico vivente che più ha e più vuole avere. Non c’è una specie in natura che accumula. Il leone cattura una gazzella che lo sfama. Non sei».

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Mario Tozzi fotografat­o nel suo studio romano da Massimo Sestini. Sotto, un frame del video della canzone «La tartaruga e il reggilatti­ne» che il geologo ha inciso con Lorenzo Baglioni
Album Mario Tozzi fotografat­o nel suo studio romano da Massimo Sestini. Sotto, un frame del video della canzone «La tartaruga e il reggilatti­ne» che il geologo ha inciso con Lorenzo Baglioni

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